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Hai figli? Niente lavoro. Storia di Paola e di molte altre donne

Altro che conciliazione: ai colloqui di lavoro la famiglia è un handicap. Ma solo se sei femmina

By Redazione
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E dunque no, le donne non possono avere tutto. Ce lo conferma, casomai se ne sentisse il bisogno, il post di Paola Filippini condiviso dalla scrittrice Michela Murgia su Facebook. Paola Filippini è una signora di Mestre di 28 anni, che durante un colloquio di lavoro per un posto da hostess al check-in per alloggi turistici si è sentita chiedere come terza domanda (dopo il nome e l'indirizzo) se era sposata o convivente e se aveva dei figli. Avendo rifiutato di rispondere, è stata bruscamente congedata. Prima ancora di poter spiegare che sapeva le lingue e che di quel lavoro aveva esperienza.

Non è completamente leale dire che in Italia non si muove mai nulla. Il Jobs Act, per esempio, ha cancellato la possibilità delle dimissioni in bianco (la diffusa abitudine di far firmare alle donne un foglio bianco al momento dell'assunzione, per poi estrarlo dal cassetto in caso di gravidanza e trasformarlo in lettera di dimissioni). Adesso ci si dimette per via telematica su moduli numerati, senza possibilità di barare sulla data. Naturalmente, se uno è sicuro che l'eventuale presenza di figli vi impedirà comunque di essere "sufficientemente disponibile" per il lavoro, si può informare ed evitare di assumervi.

Perché quella convinzione resiste? Perché, senza dubbio, alcuni cervelli si muovono più lentamente delle riforme (ed è tutto dire). Ma anche perché i numeri, purtroppo, confermano la difficoltà dell'impresa chiamata "conciliazione". Qui sotto ne ricordiamo qualcuno.

Intanto il nostro invito è: condividete quel post. E se per caso vi capita qualcosa di simile a quello che è successo a Paola, fate tutto il rumore possibile.

Foto: Getty Images

1

Un figlio e poi

Solo il 30 per cento delle donne italiane riprende a lavorare dopo avere avuto un figlio (che spesso rimane l'unico).

2

Lasciamoci così

Nel 2014, l'85 per cento delle dimissioni o risoluzioni consensuali di rapporti di lavoro ha riguardato le lavoratrici madri.

3

Una mamma tutta sola

Il 33 per cento delle donne che hanno lasciato l'ha fatto per incompatibilità tra il lavoro e la cura di bambini piccoli, indicando tra le motivazioni della scelta la mancanza di parenti in grado di aiutare o di un posto al nido e l'alto costo dell'assistenza ai bambini a domicilio.

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4

Cerco asilo

L'offerta complessiva degli asili nido pubblici e privati in Italia (con cospicue variazioni di costi) garantisce un posto al 20 per cento circa dei bambini sotto i tre anni, che già non sono moltissimi. Per di più questi posti sono concentrati in alcune regioni, mentre in altre (in particolare al Sud) non c'è quasi nulla.

5

In congedo

Con il Jobs Act il congedo parentale è diventato più flessibile: ora può essere utilizzato fino ai sei anni del bambino (retribuito al 30 per cento dello stipendio), o fino ai 12 se non retribuito. Ma il 30 per cento dello stipendio è troppo poco per molte famiglie, specie se lo stipendio è basso. Inoltre, queste misure sono finanziate solo per il 2015.

6

Evoluzioni

Qualunque cosa se ne dica, la responsabilità del lavoro di cura è ancora pesantemente sbilanciata sulle donne. E se le cose non cambiano a casa nostra, difficilmente cambieranno nei luoghi di lavoro. Anne-Marie Slaughter, la super professoressa dell'Università di Princeton che tre anni fa fece scalpore rinunciando a un impiego da favola al Dipartimento di Stato di Washington per avere più tempo da passare con i figli, ha scritto un libro dal titolo Unfinished business. Nel quale, tra molte altre cose, osserva che le coppie omosessuali sono più avanti di quelle etero nella divisione delle responsabilità familiari. Dove non ci sono stereotipi di genere, insomma, la rivoluzione domestica si compie senza grossi traumi. Meditate. (M.C.)

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