La ragazza che vedete in queste foto si chiama Isabella Potì e ha 22 anni. Fa la sous-chef e la pastry chef nel ristorante Bros di Lecce dei fratelli Pellegrino e, secondo la rivista Forbes, è una degli under 30 da tener d'occhio negli anni che verranno. Non ci si dovrebbe stupire, visto il numero di ragazze di talento presenti in quelle classifiche, e invece è una notizia. Perché i soffitti di cristallo non sono tutti uguali e quelli su cui si schiantano le ambizioni delle donne chef sembrano essere più duri di altri.

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Marco Ferrario
Isabella Potì.

Numeri che parlano chiaro

La prova sta nei numeri. Prima di tutto in quelli della Guide Michelin, bibbia della ristorazione mondiale. Su oltre 3.300 chef stellati di 28 Paesi, le donne sono 134: più o meno il 4 per cento. In Francia, dove la ristorazione è faccenda nazionale (e quanto mai reazionaria), su 616 stellati le donne sono 16: quel che guasta la cifra tonda. In Italia sono 45, il che fa di noi il Paese più virtuoso nella parità di genere culinaria. Consolazione magretta se si contano i maschi stellati: 298, l'87 per cento contro il 13. Se non siamo all'età della pietra, poco ci manca. Non basta? Scorrete i nomi dell'altra "istituzione", il World's 50 best restaurants (la classifica annuale dei cinquanta migliori ristoranti al mondo del mensile britannico Restaurant): appena due donne su 50. La prima (al 30esimo posto) è Elena Arzak, figlia di Juan Mari, uno dei più importanti chef spagnoli (3 stelle Michelin); la seconda, al 40esimo, è Daniela Soto-Innes, del ristorante newyorkese Cosme, proprietà però dello chef Enrique Olvera. Per uscire dall'impasse delle quote rosa troppo scarse, si è deciso di assegnare un premio a parte: la World's best female chef (l'anno scorso, la slovena Ana Ros).

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La chef Ana Ros.

Sostenere le donne

A dare una spiegazione è Maria Canabal, giornalista francese, fondatrice del Forum Parabere che ogni anno raduna le donne più influenti del mondo della gastronomia per dare forza e far crescere la presenza femminile. «Se si chiede il perché a un uomo, in genere risponde dicendo che quello dello chef è un lavoro troppo duro, anche fisicamente, che si lavora troppe ore e a un certo punto tocca scegliere tra quello e la famiglia. Ma provate a chiedere a una donna. Dirà che capita perché la cucina è un mondo maschilista, sessista, dove spesso non ci si sente al sicuro. Anche l'infermiera è un lavoro faticoso, ma nessuno si sogna di dire che non è adatto alle donne».

Fare lo chef è troppo duro per una donna, affermano i maschi. Ma perché non lo dicono per le infermiere?

Mi spiega che l'alta cucina è stata codificata da Auguste Escoffier come qualcosa di maschile e militaresco per distinguere, nelle case nobiliari, gli uomini dalle domestiche. «I maschi erano chef, le donne cuoche. Alla base della cucina ci sono la gerarchia e l'ordine. Le donne invece sono empatiche e collaborative. Morale? O ti adatti o stai fuori. Per non parlare di molestie». L'idea del Forum Parabere le è venuta cinque anni fa, quando il direttore del giornale per cui lavorava si è rifiutato di mettere in copertina una chef donna perché sconosciuta. Il prossimo si terrà a Malmö il 4 e 5 marzo, e per raccogliere fondi – ma soprattutto sostenere la presenza e il ruolo delle donne nelle grandi cucine – il 18 febbraio è tenuta da Eataly Smeraldo, a Milano, La cena delle cene con 12 chef internazionali, da Massimo Bottura ad Antonia Klugmann.

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Antonia Klugmann, chef stellata e giudice di MasterChef Italia.

Padrona di casa, la chef Viviana Varese di Alice Ristorante tra le attiviste del Forum. «La mia cucina è per metà composta da donne. Quando lo staff è tutto maschile, senti parlare di calcio e sesso. Se ci sono donne il clima è più familiare. Io sono nata in una famiglia di ristoratori, il mio primo ristorante l'ho aperto a 21 anni. Ho fatto tre stage da Marchesi. Per il resto ho studiato da autodidatta perché allora gli altri chef non prendevano donne. Oggi tante cose sono cambiate, ma la strada da fare è ancora lunga».

La cucina di genere

Quanto sia lunga, lo spiega Silvana Chiesa, docente di Storia dell'alimentazione alla facoltà di Agraria di Parma e coordinatrice di un progetto di ricerca sulla cucina di genere che mira a costruire una rete tra donne chef. «Il problema è culturale, mancano le pari opportunità in tutti i campi della ristorazione. Persino tra i fornitori che, ci raccontano le chef, le incontrano preferibilmente alla presenza di un uomo, marito o consulente che sia. E persino nei cataloghi di abbigliamento, dove la quasi totalità delle divise da chef è maschile: in compenso in quelle da cameriera c'è una grande scelta. E sento ancora dire: voglio uno chef, non una cuoca. Il tema delle molestie l'abbiamo lasciato fuori dalla ricerca per non sviare il focus, ma le assicuro che di casi ce ne sono tantissimi». Eppure c'è chi arriva. «Brave e molto determinate. E per le giovani oggi è un po' più facile».