Aggiornamento del 27 dicembre 2016

L'aggiornamento che non avremmo mai voluto dare: dopo alcuni giorni in terapia intensiva in condizioni definite stabili, Carrie Fisher, la principessa Leia di Star Wars, è morta oggi 27 dicembre 2016 a Los Angeles senza mai riprendere conoscenza. L'attrice era stata colpita da infarto sul volo Londra-Los Angeles il 23 dicembre 2016 e le sue condizioni erano apparse critiche fin da subito.

Ecco il triste annuncio dato da Tmz e People via Twitter.

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Scritto il 23 dicembre 2016.

Carrie Fisher, la principessa Leia di Star Wars, è stata colpita da un infarto il 23 dicembre 2016 sul volo Londra-Los Angeles pochi minuti prima dell'atterraggio: mentre scriviamo è ricoverata in terapia intensiva. Terminato il tour promozionale del suo ultimo libro, The Princess Diarist, Carrie Fisher stava tornando in California dopo aver lavorato negli ultimi giorni sul set della serie inglese Catastrophe. Ha 60 anni, e alle spalle una vita complicata. La ripercorriamo in un articolo che vi riproponiamo.

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L'intero universo di Star Wars si fonda su Carrie Fisher, ribelle sopravvissuta. Rogue One, al cinema in questi giorni, finisce con i piani della Morte Nera in mano alla principessa Leia: sarà lei a farli avere a Obi-Wan Kenobi, all'inizio di Episode IV, e dare inizio alla rivolta. E quarant'anni dopo, ne Il risveglio della forza, la guerra inizia davvero quando la principessa Leia (ormai generale) abbraccia la canaglia Han Solo (ormai padre della patria). Ha l'aria stanca. Le rughe. I capelli bianchi. Io e Guerre stellari siamo diventati grandi insieme.

Carrie Fisher è nata nel 1956, figlia di Debbie Reynolds e Eddie Fisher, tre anni prima dello spettacolare divorzio dei genitori per via di Elizabeth Taylor. «Se siete troppo giovani perché questo vi dica qualcosa», spiega lei in Wishful Drinking, il monologo teatrale che poi è diventato un libro che dovreste leggere, «provate a immaginarla così: Eddie era Brad, Debbie era Jennifer, Elizabeth era Angelina. È più chiaro adesso?».

Nel 1977 viene scelta per interpretare la principessa Leia nel primo Star Wars – ovvero: per sempre. Negli anni Ottanta che ne conseguono Fisher si droga con John Belushi, manda a monte un matrimonio con Dan Aykroyd, prende lezioni di sobrietà da leggende amiche di famiglia – la madre, preoccupata per l'abuso di droghe, «fece quello che avrebbe fatto qualunque genitore premuroso: telefonò a Cary Grant» – e sposa Paul Simon, per poi divorziare senza smettere di frequentarlo. Scrive inoltre un romanzo piuttosto autobiografico – Cartoline dall'inferno, che diventerà il film di Mike Nichols con Meryl Streep e Shirley MacLaine – e fa l'amica saggia di Meg Ryan in Harry ti presento Sally.

Negli anni Novanta lavora perlopiù come sceneggiatrice di salvataggio, ha una figlia, e si fa lasciare dal secondo marito per un altro uomo. Ma si impegna anche a conquistare il titolo di Donna bipolare dell'anno, rendendo pubblica la sua diagnosi: «Ho troppa personalità per una persona sola, ma non abbastanza per due». Nel 2005 Greg Stevens, un consulente del partito repubblicano, muore di overdose a casa sua. Carrie Fisher si accorge di avere tre problemi e mezzo: «Un morto nel letto, una tossicodipendenza, un disturbo maniaco-depressivo. E quel mezzo fastidio che deriva da una certa difficoltà nelle relazioni romantiche».

«Ma non si può dare la colpa alla mia infanzia scombinata. Ci si può provare, ma sarebbe complicato, perché mio fratello Todd, che per coincidenza ha avuto la stessa identica infanzia e persino i medesimi genitori, non ha mai avuto problemi di dipendenza» ha scritto, e mi torna in mente ogni volta che qualcuno, distintamente maggiorenne, pretende di nascondere le proprie nefandezze dietro un'infanzia (autoproclamata) difficile nella privacy di un tinello in cui mamma e papà litigavano per chi doveva sparecchiare. «Certo, mio fratello è diventato cristiano evangelico», conclude. Ognuno reagisce come può.

Uscirne viva, e con gli strumenti per raccontarlo, è il talento principale del generale Fisher. Dopo Wishful Drinking ha scritto Shockhaolic – «Con una certo disgusto, ho accettato di sottopormi alla terapia elettroconvulsiva, comunemente nota come elettroshock» e siccome tra gli effetti collaterali c'è la perdita di memoria, «ho pensato di buttare giù due o tre cose sulle quali potesse valer la pena di riflettere, in futuro» – e nel novembre 2016 è uscito The Princess Diarist, un'altra variazione sul tema «gustoso aneddoto, pessima realtà».

Carrie Fisher adesso è una signora strampalata con la battuta pronta. Vagamente fuori sincrono, in costante anticipo sull'interlocutore, è l'anima di ogni intervista. «Non volevano me, volevano tre quarti di me», ha detto per commentare i 15 chili persi prima dell'inizio delle riprese dell'Episode VII. È stato difficile – alla sua età! – ma non intende spacciarlo per sacrificio d'artista: «Nessuno mi ha obbligato: li ho obbligati io a obbligarmi. "Fatemi dimagrire, o sembrerò una stupida"».

Ma solo le stupide possono sembrare stupide. Carrie Fisher ha passato metà del Ritorno dello Jedi – e quindi dell'eternità – in bikini dorato, principessa di una saga in cui gli altri personaggi femminili parlano in tutto 63 secondi, e ciononostante «hai aperto la strada a tutte noi ragazze», le ha detto Daisy Ridley, che della nuova trilogia è la protagonista scavezzacollo. E che ha ancora un paio di film e tutta la vita davanti per sconfiggere il lato oscuro, trasformarsi in una maschera di carnevale, e diventare quello che Carrie Fisher è ora capace di essere: «Felice, tra le altre cose».