«Adesso basta, non voglio più vederti, tra di noi è tutto finito!»: è la più tipica delle frasi cinematografiche che i protagonisti di un film, di una serie tv o di una soap opera, pronunciano quando decidono di porre fine al proprio legame coniugale con il partner con un divorzio. In Italia, il fenomeno della coppia che «scoppia» è tutt'altro che una realtà legata esclusivamente al grande o al piccolo schermo e, per comprendere il fenomeno, basta far riferimento ai dati ufficiali.

Secondo l'Istat, nel 2014 in Italia le separazioni sono state 89.303 e i divorzi 52.335, a fronte delle 91.706 separazioni e degli 82.469 divorzi del 2015. Come è facile verificare, mentre per le prime siamo in presenza di un incremento «fisiologico» del 2,7 % rispetto all'anno precedente, per i secondi questo raggiunge, nello stesso periodo, il 57,5%. Come mai è stata registrata questa impennata e in così poco tempo per il numero dei divorzi? Le cause possono essere molteplici, ma sono in molti a pensare che questo incremento sia da attribuirsi soprattutto alla introduzione e diffusione del cosiddetto divorzio breve. Quello tradizionale, in vigore in Italia, almeno a livello legislativo, dal 1 dicembre 1970 ma che ebbe maggiore visibilità cognitiva e applicativa a seguito del referendum del 1974, aveva dato inizio a un percorso che soltanto recentemente, nel 2015, ha raggiunto un assetto definito più in linea con quello degli altri Paesi Europei. Con la legge n. 55 del 6 maggio 2015, intitolata Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra coniugi, il divorzio, per l'occasione definito divorzio breve, ha mutato sostanzialmente il suo impianto normativo.

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Infatti, esso prevede, tra l'altro, che i tempi che devono intercorrere tra la separazione e la richiesta di divorzio, in caso di «separazione giudiziale», ovvero quando la richiesta è avanzata da uno solo dei coniugi, siano ridotti dai precedenti 3 anni a 12 mesi. Nel caso in cui la separazione sia consensuale, caratterizzata, quindi, da accordo preventivo tra le parti, invece, sono sufficienti 6 mesi, anche in presenza di figli.

La Commissione giustizia del Senato aveva inizialmente inserito un articolo per eliminare del tutto il periodo di separazione per coppie senza figli minori, maggiorenni con handicap gravi, inferiori a 26 anni, e/o economicamente non autosufficienti, ma lo stesso, per il mantenimento di equilibri tra le parti politiche, è stato stralciato dal testo e accantonato, per cui la separazione rimane in essere, insieme con il requisito della sua mancata interruzione.

Ulteriori innovazioni introdotte dalla Legge prevedono che non sia più necessario l'intervento di un tribunale, ma che sia sufficiente la negoziazione assistita di un avvocato per ciascuno dei coniugi; pertanto, una volta che sia raggiunto l'accordo e questo sia stato da loro sottoscritto, lo stesso potrà essere omologato e avrà valore come le vecchie sentenze. Ma si va ancora oltre, poiché esiste la possibilità, sempre con l'accordo delle parti, di fare a meno della mediazione degli avvocati e formalizzare la pratica di separazione/divorzio dinanzi al sindaco.

In presenza di beni materiali posseduti dalla coppia, poi, viene introdotto dalla legge lo scioglimento anticipato della comunione legale la quale, prima dell'istituzione del divorzio breve, veniva meno nel momento in cui passava in giudicato la sentenza di separazione giudiziale o, in caso di separazione consensuale, all'atto della omologazione del relativo decreto.

Attualmente, invece, sia pur con procedure diverse tra quella giudiziale e quella consensuale, praticamente il suo scioglimento coincide con la ratifica dell'inizio di separazione. La Legge regola altresì i procedimenti in corso che possono avvalersi, quindi, della procedura attuale di abbreviazione dei tempi, nonché, sempre su richiesta, della trasformazione di divorzio giudiziale in consensuale.

Mentre era in corso l'iter procedurale della legge, peraltro, anche il Vaticano ha aggiornato le normative che regolavano il matrimonio religioso, riscrivendole in quello che comunemente è conosciuto come «divorzio religioso».