L'ultima classifica di Reporters sans frontières, associazione che vigila sulla libertà d'informazione nel mondo, ha scatenato un polverone. La ragione è semplice: l'Italia è avanzata di 25 posizioni – ci voleva poco, fino all'anno scorso eravamo settantasettesimi dietro Benin e Burkina Faso – ma stavolta a essere tirati in ballo dalla severa giuria internazionale sono anche i cinquestelle. Sì, proprio quei grillini che a lungo hanno citato la nostra brutta classifica come prova di regime mediatico.

Cos'è successo? Che i giurati, pur riconoscendo qualche passo avanti dell'Italia, per la prima volta hanno puntato il dito proprio contro il M5S, denunciando il vizio di stilare liste di cronisti sgraditi. Di recente, per esempio, Luigi Di Maio ha indicato in un post i nomi dei giornalisti che avrebbero a suo dire scritto inesattezze sulla vicenda delle polizze intestate da Salvatore Romeo a Virginia Raggi. Esponendoli così sui social network agli attacchi dei militanti più esasperati. Non bello, per carità. Ma si può dire che ormai queste classifiche sulla libera informazione sono diventate un po' ridicole? Lo erano l'anno scorso quando occupavamo il 77mo posto per la gioia dei grillini inneggianti alla dittatura mediatica. Lo sono oggi che ci promuovono al 52mo posto schiaffeggiando i cinquestelle.

Alla faccia di cassandre e fustigatori, in Italia la libertà di stampa c'è, anche se a volte sono proprio i giornalisti a metterla a rischio indugiando nell'autocensura o nell'elogio sguaiato del potere. Certo, manca una seria legge sul conflitto d'interessi ed è sempre più difficile dare tutela legale ai giovani cronisti. Sicuramente negli Usa e in Gran Bretagna gli investimenti sulla qualità dell'informazione sono ben altri. Ma il sorpasso in classifica di Tonga nei nostri confronti, con tutto il rispetto per i simpatici polinesiani, proietta un riflesso paradossale e un po' grottesco sugli austeri recensori della nostra libertà.