«Ero andata a trovare Paolo sul set per il suo compleanno, aspettavo Anna e avevo un pancione enorme». Micaela Ramazzotti fruga nella memoria in cerca della sua versione di un ricordo cruciale – la prima volta che incontrò Valeria Bruni Tedeschi, sul set del Capitale umano. Allora ancora ignorava che, a una certa distanza, il marito, il regista livornese Paolo Virzì che l'ha lanciata in Tutta la vita davanti, le stava inquadrando col suo obiettivo immaginario. E nella sua mente già concepiva un'altra gestazione: di quellostruggente on the road psichiatrico che è La pazza gioia, film (nelle sale) che ha appena trionfato al Festival di Cannes. Così inequivocabilmente bello che lo hanno già richiesto 40 Paesi. «È stato un incontro un po' surreale», continua Ramazzotti. «Io e Valeria eravamo immerse fino alle caviglie nel fango della pianura padana. Lei aspettava di andare in scena, ricordo che mi tese la mano: io restai lì a guardarla con un dolce tra le mani. Non mi ero accorta che intanto lui ci spiava». È passato quasi un anno, prima che Virzì le confessasse il suo progetto: «Stavamo andando in macchina in Toscana. Mi disse che voleva fare un film su due ragazze in fuga da una comunità per persone con disagi mentali e problemi giudiziari e aveva pensato a me e Valeria per le protagoniste. Poi, in estate, siamo andati in vacanza a Stromboli e lì l'ha scritto. Un anno dopo stavamo girando».

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Micaela Ramazzotti in una scena del film La pazza gioia.

È da un po' che coabita con l'anima lesa di Donatella.

Da quando Paolo mi ha detto: guarda, Donatella è questa qui. Viene da un mondo subalterno, ha molte sconfitte alle spalle. Ho cercato di immaginarmi tutto, ma proprio tutto quello che ha subito. Lo stigma, le umiliazioni, la razzia degli affetti, i trattamenti sanitari aggressivi, l'ospedalizzazione, quello che ha fatto di lei una creatura chiusa e sospettosa. Poche parole e molti impulsi autolesionisti. Con una peculiarità: Donatella è nata triste. E io ho cercato di renderle giustizia, perché le voglio bene, sono stata dietro molto a questa donna, immaginandola con una sua innocenza, una grazia da animale ferito. E un prepotente bisogno di accudimento. Di amore.

Il punto del film è proprio questo: il tema della cura. 

Forse, se Donatella avesse avuto qualcuno che le voleva davvero bene, non avrebbe fatto quella fine. Però poi sulla sua strada trova Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi, ndr) una donna sfrenata, prepotente. Viene da un mondo lontano, ma sa conquistare la sua fiducia, e in questa fuga fuori dalle regole della comunità, nel mondo, la loro amicizia diventa paradossalmente una cura

Il film mostra che non esistono le categorie dei sani e dei malati, ma una linea continua lungo la quale le nostre vite scorrono, condizionate da ciò che ci accade.

E a volte capita, per tanti motivi, che uno crolli, vada in confusione, abbia paura. La paura ci manda ai matti.

Si direbbe che lei e Valeria siate amiche da sempre, Francesca Archibugi, che ha co-sceneggiato il film, la chiama alchimia psichica...

Macché, non ci conoscevamo. Ho incontrato una donna e un'attrice sorprendente e ho dovuto starle dietro, lei spesso inventava delle cose. Mi sono trovata in una relazione simmetrica a quella della storia: Donatella è trascinata da Beatrice, noi ci siamo lasciate andare. C'erano giorni in cui i nostri personaggi stavano per conto proprio o bisticciavano e magari anche noi non ci parlavamo. La sera di una scena molto intensa, tra un cambio di inquadratura e l'altro, ci siamo messe a ballare con l'iPhone di un'assistente.

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Con Valeria Bruni Tedeschi, l\'altra protagonista del film di Paolo Virzì.

La scena dell'incontro con suo figlio, invece, è tutta sua.

È stato bello girarla, avevo pianto molto prima. Trovandomi davanti questo piccolo giovanotto che avevo visto solo in foto, bello e pieno di salute, ho pensato a Donatella, che l'aveva avuto per sé solo otto mesi della sua vita. C'erano molte persone su quella spiaggia di Viareggio, ci guardavano, ci chiamavano e ci fotografavano. In questa confusione poi è venuta fuori la scena.

Non riveliamo il finale.

Diciamo solo che lei se ne va con le sue mutande bianche e il capello zuppo, che mi fa molto ridere, e poi qualcosa accade.

Diciamo che a volte i figli ti salvano la vita.

Sicuramente ti cambiano, anche fisicamente, nello sguardo. Paolo mi descrive come una mamma-tigre che svolazza sui tacchi in minigonna attorno ai figli, però sempre guardinga, pronta ad allungare un braccio e acciuffarli in caso di pericolo.

Cuore di mamma.

La testa è sempre con loro, anche se sono lontana. Forse solo quando sento: "ciak, motore, azione", si svuota e ritrovo finalmente un po' di leggerezza. Poi però, in camerino, chiamo subito mia mamma per sapere come va, se hanno mangiato. 

Nel film si è parecchio mortificata, soprattutto se si pensa alla creatura sensuale di Tutta la vita davanti. 

Amo vedere le attrici trasformarsi, come Hillary Swank in Million dollar baby, piena di cazzotti, gonfia: la bellezza c'era, ma era sotto. Mi piace sfidarmi ogni volta, il cambiamento mi accende. E poi amo il fisico da boxeuse di Donatella, tatuata, piena di cicatrici, con gli occhi cerchiati. Ha visto che in testa ha tre ciuffi mozzati? Me li ha tagliati Paolo col trinciapollo.

È una trasformista anche nella vita, è così bella con i capelli corti

Più che altro sono cresciuta e mi adeguo al corpo che cambia. Ora non mi vedrei più coi capelli biondi da bambolona, riconosco che ero una ragazzetta sexy, ma non so più chi sia quella donna lì. L'aspetto ha a che fare con le svolte dell'anima e io mi diverto a esplorare, cambiare look: essere femmina, maschio, mescolare. Le donne sono belle se leggi loro addosso i segni di ciò che hanno vissuto.

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Marco Lo Conte

Che rapporto ha con lo specchio?

Quando preparo i personaggi mi guardo spesso. Nella vita meno, non ricorro a molte cure estetiche, il minimo sindacale per stare bene, mi piace fare delle maschere, usare buone creme.

Però fisicamente è in gran forma.

Ho fatto tanto sport da piccola. Ora, quando posso, faccio il cosiddetto body building... Yoga e pilates non fanno per me, mi annoiano. Mi piace anche la boxe: le donne sono molto femminili quando fanno sport maschili.

Cos'è la bellezza in un uomo?

Non saprei. A me piacciono gli uomini curiosi della vita e delle persone, quelli che non stanno mai a giudicare, guardano, ascoltano e provano ancora meraviglia. Sono rari, per questo quando ho trovato Paolo non me lo sono lasciato sfuggire. 

Qual è la sua pazza gioia?

Vorrei una giornata punk, fare cose da adolescenti, girare su una decappottabile, suonare i campanelli, scappare dal ristorante senza pagare, ma non si può. Mi sono sfogata nel film: Valeria ama il brivido e io la spaventavo un po' guidando veloce. Cioè, mi piacerebbe trasgredire. Ma poco poco.

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La pazza gioia è stato presentato fuori concorso a Cannes 2016 e ha conquistato il pubblico.