Michelle Hunziker non ha nessuna intenzione di abbassare la guardia. Anzi. Dopo aver sensibilizzato l'opinione pubblica sulla piaga del femminicidio e sulla necessità di denunciare le violenze, la conduttrice alza la posta in gioco ricordando allo Stato i propri doveri. L'associazione Doppia Difesa, guidata da Hunziker e dall'avvocato Giulia Bongiorno, ha infatti realizzato il corto Uccisa in attesa di giudizio, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma 2017: al centro il "tradimento dello Stato", come non esita a definirlo la Bongiorno. A causa della lentezza del sistema giudiziario, sempre più donne muoiono prima ancora di arrivare davanti al pm come racconta lo stesso cortometraggio, interpretato da Alessio Boni e Ambra Angiolini (e come denunciato più volte anche da noi di Gioia!). Da qui, la richiesta di Doppia Difesa di introdurre un codice rosso che obblighi la giustizia a intervenire entro 48 ore dalla denuncia di violenza. L'associazione si starebbe inoltre adoperando per creare un dossier sui casi di femminicidi insabbiati, ossia inspiegabilmente bloccati dalla magistratura, a ulteriore riprova dell'immobilità della giustizia italiana.

Le denunce di violenza non verrebbero prese con l'adeguata serietà?

Purtroppo no. Oggi, grazie anche alla campagna di sensibilizzazione che abbiamo portato avanti in questi ultimi dieci anni, moltissime donne denunciano la violenza subita. Non è però sufficiente: i pm non prendono sul serio le denunce e moltissime donne vengono uccise nell'attesa di ricevere protezione contro il compagno violento. Per questo bisogna lanciare un grido, un codice rosso, affinché la politica e lo Stato prendano dei provvedimenti.

Il corto è interpretato da Ambra Angiolini e Alessio Boni: quanto è importante avere volti maschili, di chiara fama, che si prestino a testimonial di campagne così delicate?

È fondamentale: abbiamo bisogno di uomini che abbiano voglia di dimostrare che il femminicidio non è un problema di categoria ma una piaga culturale, che va estirpata. Alessio Boni, in particolare, è stata una vera forza della natura: si è messo in gioco, mettendo a disposizione il proprio talento e dando vita a un personaggio potente.

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Qual è la molla che fa scattare la violenza all'interno di una coppia, magari persino dopo anni di grande amore?

Sarebbe saccente da parte mia anche solo pensare di dare una risposta esaustiva. Posso provare a formulare un'ipotesi sulla base dell'esperienza maturata, in questi 10 anni, con Doppia difesa. Il femminicidio è un problema culturale. Per questo è fondamentale il lavoro di prevenzione: la donna non può, e non deve, scambiare l'amore malato per affetto. Il sentimento che ci lega a una persona deve essere bello e luminoso per entrambi: non può mai risolversi in uno schiaffo. Un gesto del genere deve bastare per dire: "Questo non è il mio uomo". A meno che lui non voglia curarsi. Esistono infatti casi dove l'uomo si mette in discussione e si fa aiutare: allora va bene. Il problema è quando invece la storia è malata da anni: se hai abituato il tuo uomo a determinati comportamenti, devi fare attenzione perché, quando lo lascerai, questa persona sarà una bomba.

Come associazione, avete mai pensato di intervenire anche sul fronte maschile, aiutando la controparte?

Doppia Difesa combatte la violenza in generale: non siamo mai stati una fondazione femminista e tra i nostri assistiti ci sono molti uomini. Uno dei temi più caldi è l'alienazione parentale, insieme al mobbing.

C'è chi sostiene che se si vuole combattere il femminicidio bisognerebbe anche contemplare un percorso di analisi e di recupero per gli uomini, a oggi quasi assente. È d'accordo?

La mia impressione è che dobbiamo lavorare, ancora prima che sugli uomini, sulle mamme: noi abbiamo in mano il futuro dei nostri figli. Dobbiamo insegnare loro cosa vuol dire il rispetto e l'amore, far capire alle bambine che esiste la violenza. Inoltre è fondamentale dare il buon esempio: se ci facciamo picchiare davanti ai nostri figli, loro riproporranno lo stesso modello.

Oltre a metterci l'impegno, lei ci mette anche la faccia nel denunciare le violenze, comprese quelle psicologiche che ha subito in passato, al centro della sua biografia Una vita apparentemente perfetta. Come si esce da una setta?

Ho deciso di mettermi a nudo perché viviamo in un'era di life coach, guru, sedicenti maghi: abbiamo perso stabilità e punti di riferimento, quindi è molto facile che un ragazzo possa vivere un'esperienza simile alla mia. Se, con la mia testimonianza, riesco a salvarne anche solo uno o due, ho vinto. Come si esce da una setta? Alla fine, l'amore vince sempre.