Nato e cresciuto a Milano, Mattia Tarelli è il solo italiano nello staff di Hillary Clinton: stagista nella campagna presidenziale Hillary for America,  dopo aver seguito le primarie in Iowa, lavora per l'ex First Lady a New York (dove la candidata ha vinto lo scorso 19 aprile) sia nel quartier generale a Brooklyn che nell'ufficio di Manhattan, nel Financial District. In più frequenta un master alla New York University. Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato questa sua straordinaria esperienza, e come funziona la macchina elettorale americana.

Come sei arrivato in America?

Mi sono iscritto al PD quando avevo solo 17 anni e da quel momento sono sempre stato attivo politicamente. Sono stato rappresentante degli studenti nel mio liceo classico, il Beccaria di Milano, eletto per due anni consecutivi. Nel 2011 mi sono candidato in Consiglio di Zona 8 e prima dell'elezione di Giuliano Pisapia avevo seguito la campagna elettorale di Stefano Boeri. Da allora sono stato consigliere di zona fino a luglio scorso, prima di dare le dimissioni per poter frequentare il master.

E come è nata la passione per Hillary?

Ho seguito dall'Italia già le primarie tra Obama e Hillary quando avevo 18 anni, nel 2008, ma allora non avevo idea di chi avrei votato se fossi stato americano, perché mi piacevano entrambi. Quando Bill Clinton era in carica io ero troppo piccolo, ma successivamente mi sono documentato sul suo eccellente operato. La politica americana mi ha sempre affascinato e ho seguito Hillary per tutto il suo percorso politico:  come senatore dello stato di New York,  come segretario di Stato nell'amministrazione Obama. L'ho sempre trovata una persona seria e qualificata.

Vi siete conosciuti?

Le ho parlato a gennaio, in Iowa, durante la campagna elettorale. L'ho incontrata alla fine di un comizio e, non appena le ho detto che ero italiano, mi ha preso il telefono e abbiamo fatto un selfie insieme. Mi ha infine salutato con un "Ciao!" ed è scappata verso i suo mille altri impegni. Mi è sembrata molto umana, a differenza di come normalmente viene dipinta. Ho visto anche Bill Clinton, qualche giorno fa qui a Manhattan, durante un comizio. Il suo sostegno alla moglie è entusiasta e incondizionato.

Cosa ti piace di più della politica di Hillary?

Ammiro tanto la sua chiarezza. Con il procedere della campagna elettorale per le primarie democratiche tra lei e Bernie Sanders, le differenze tra i due sono sempre più evidenti. Lui propone una rivoluzione politica, grandi temi che non riesce però ad articolare in proposte chiare e concrete. L'approccio di Hillary è molto pragmatico. Per fare un esempio: Bernie sostiene di voler rendere i college pubblici gratuiti per tutti: un traguardo sostanzialmente irraggiungibile. Hillary, invece, propone di renderli accessibili gratuitamente solo per la fascia più povera della popolazione. Oltre a questo, l'obiettivo è l'abbassamento dei tassi di interesse che gravano sui debiti di tutti studenti, e che al momento rappresentano un ostacolo insormontabile per molti.

Come funziona la macchina elettorale e cosa fai tu?

 A gennaio ho lavorato a Dubuque, in Iowa, una bellissima cittadina sul Mississippi, che d'inverno è totalmente ghiacciato, con temperatura attorno ai -20 gradi. Nel mio ufficio lo staff era composto da sei persone, e dovevamo occuparci di tutta la contea, un territorio enorme. La nostra attività andava dall'organizzazione di eventi, alla visita porta a porta a possibili elettori, alle telefonate, alla definizione dei compiti dei volontari che affluivano in sede, oltre a tante funzioni minori e pratiche: dal decorare l'ufficio allo scrivere lettere ai sostenitori più generosi. Tutti erano sempre a disposizione, a partire dalla mia capa, che rappresentava per l'intero ufficio un grande esempio. Si proponeva sempre in prima persona e solo quando non riusciva a portare a termine il lavoro da sola chiedeva l'aiuto di altri. Lavoravo full time, fino a picchi di 14 ore al giorno. Il titolo dei miei colleghi è quello di Organizers: hanno il compito di trasmettere il messaggio della campagna agli elettori e convincerli a votare per Hillary. Ero l'unico italiano, ma i volontari venivano da tutti gli Stati Uniti. Due ragazzi venivano addirittura dalla Florida, e non avevano mai visto la neve prima. Confrontarsi con gente di culture e abitudini diverse mi ha arricchito moltissimo.

E a New York come sei impegnato?  

Svolgo solo alcune delle mansioni che avevo in Iowa, adesso lavoro nel Volunteer Management. Ci occupiamo di organizzare la "forza-lavoro" dei volontari, di coinvolgerne di nuovi, di gestire e decidere quello che possono offrire alla campagna: dalle telefonate al volantinaggio. Ora sono quasi sempre in ufficio, mentre in Iowa mi trovavo spesso a bussare alle porte: una cosa che a New York non sarebbe fattibile.

Mattia Tarelli, l'unico italiano nello staff di Hillary Clintonpinterest
Alessandra Mattanza
Mattia Tarelli a New York

Un episodio che ti ha particolarmente colpito?

In Iowa ricordo una coppia di signori sui 50 anni, che facevano Lombardo di cognome. La prima volta che li ho incontrati erano inclini a votare per Bernie. Anche grazie alla mia nazionalità, un elemento che abbiamo in comune, dopo averli contattati più volte al telefono e di persona, li ho pian piano convinti verso Hillary. Mi ha dato una soddisfazione incredibile portare altri a credere nella mia causa, e a gioire insieme della vittoria.

Tu fai il volontario gratuitamente, e poi studi. Come ti mantieni?

Tiro su tutto... (sorride, ndr). Come tanti miei coetanei, quando ero molto giovane ho fatto diversi lavoretti, anche durante la settimana della Moda o il Salone del Mobile, e ho risparmiato qualcosa. In Iowa ero spesato, ospite nella casa di alcuni volontari locali, persone meravigliose, e a New York condivido un appartamento nel Lower East Side con due ragazze italiane. Purtroppo non posso lavorare, perché non è permesso dal mio visto da studente, ma spero che questo sia un investimento per il mio futuro. I momenti più difficili sono stati comunque legati alla resistenza fisica: lavorare per tante ore, in Iowa, magari all'aperto e con temperature proibitive, dormendo a volte solo 3-4 ore per notte. Per fortuna l'adrenalina mi dà carica e mi tiene sveglio!

Ti trovi bene a New York?

Sì, benissimo, perché questa è una città dove hai l'impressione di poter fare tutto, se solo ci credi. È anche interessante osservare come gli italo-americani immigrati qui a inizio '900 abbiano contribuito a plasmarla. Il mio quartiere, il Lower East Side, ricorda l'atmosfera di Brooklyn. Qui il rinnovamento è ancora in atto: quotidianamente nascono nuove gallerie d'arte e nuovi locali. Inoltre è vicino al Village e all'Università, che si trova a Washington Square. Sto frequentando un master in relazioni internazionali, e l'approccio è molto più pragmatico che in Italia. Oltre alla teoria, c'è sempre un esercizio che ti costringe a mettere in pratica le nozioni acquisite. E c'è maggiore dialogo tra professori e studenti, e anche tra gli studenti stessi, che vengono da tutto il mondo.

Qualche consiglio su dove andare?

La pizza a Numero 28, nell'East Village, è la più buona di New York, mentre il mio ristorante preferito è il greco Souvlaki, nel Lower East Side. Consiglio inoltre a tutti di attraversare a piedi il Manhattan Bridge dal lato sud, da cui si ammirano il Brooklyn Bridge e Downtown Manhattan.

Cosa dovremmo imparare dagli americani?

Gli Americani mettono il cuore in quello che fanno e non hanno paura di buttarsi. Magari falliscono, ma ci provano sempre. Quello che non mi piace è forse la loro mancanza di rispetto nei confronti del cibo. Un esempio: in pausa pranzo a me piace incontrare un amico o comunicare coi miei colleghi. Loro invece mangiano tendenzialmente soli, si portano il cibo davanti al computer e magari vanno su Facebook. Ma ammiro la loro etica del lavoro, lo spirito competitivo e l'amore per la patria.

Cosa gli americani dovrebbero invece apprendere da noi?

Il sistema del welfare e dell'assistenza sanitaria gratuita funziona meglio in Europa. Hillary punta infatti ad avvicinarsi pian piano al nostro modello. 

Vuoi rimanere qui?

Preferirei tornare in Italia: amo Milano, la trovo una posto meraviglioso, ma dipende da quali possibilità si aprono. Non so ancora cosa voglio fare esattamente, sto frequentando il master e cercando di capire. Non penso che la politica possa essere un'attività a tempo pieno: credo che si debba prima avere un lavoro, e poi impegnarsi nel servizio pubblico. Ma chi lo sa, nella vita non si può mai sapere.