Alto e magrissimo, capelli rasati e pelle di velluto, Will Smith non dimostra i suoi 47 anni. Eppure dice di sentirli… «Sarà perché più che un attore affermato, una star, ormai mi sento soprattutto un padre», spiega dopo una pausa di riflessione. «Essere genitore è l'avventura più appagante e complicata che abbia mai affrontato. Ora la mia paura più grande è quella di non essere un buon padre o un buon marito, di non riuscire a fare mai abbastanza per rendere tutti felici nella mia famiglia. Se nel mondo del cinema o su un set d'azione mi sento ancora un ragazzino, nel privato so di essere maturato e cambiato», rivela con uno sguardo quasi profetico, da guru. Ed è infatti con molta prudenza che Smith – nei cinema americani questa estate con Suicide squad e a fine anno con Collateral beauty – affronta il tema delicato di Zona d'ombra (dal 21 aprile al cinema), film che racconta la storia vera del neuropatologo forense nigeriano Bennet Omalu e della sua battaglia per denunciare i rischi dell'encefalopatia traumatica cronica, una malattia degenerativa del cervello che colpisce i giocatori di football americano, vittime dei ripetuti colpi alla testa ricevuti in campo nel corso della loro vita.

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Questo ruolo promette di essere uno dei più importanti della sua carriera.

In principio ero incerto se accettare o meno: amo il football ed è stato un duro colpo confrontarmi con questa realtà. Poi ho pensato che dovevo sentirmi onorato di interpretare un uomo così coraggioso da smantellare l'omertà di un ambiente, quello sportivo, che per interesse economico mette consapevolmente a repentaglio la salute degli atleti. 

Non è la prima volta che interpreta personaggi reali, protagonisti di battaglie personali e sociali.

Sono stato Muhammad Alì e anche Chris Gardner, l'imprenditore impoverito con un figlio a carico di La ricerca della felicità. Ma questa volta sono sceso più in profondità: ho imparato l'accento nigeriano, ho parlato con amici e familiari di Omalu. Per condividere totalmente il suo punto di vista, ho assistito perfino ad autopsie. È stato un viaggio "dark" alla scoperta della verità e dell'illuminazione. In fondo, anche del sogno americano, perché mi sono calato nei panni di un immigrato con una visione profonda e una missione. 

Si trova a sua volta a essere padre di un giocatore di football: suo figlio Trey è stato per quattro anni nella squadra della Oaks christian high school di Los Angeles. Gli permetterà ancora di giocare?

Ci siamo seduti a un tavolo e ne abbiamo discusso. In effetti, è difficile dopo tutto quello che ho scoperto. Non sono bravo a dire no, quindi ho affidato questo duro compito a sua madre, la mia ex moglie (ora è sposato con l'attrice Jada Pinkett, da cui ha avuto due figli, Jaden e Willow, ndr). Non so se riusciremo a convincerlo, ma Trey è rimasto colpito da questa storia. 

Continua ad amare lo sport?

Credo in un equilibrio tra corpo e mente, in un viaggio sia fisico che spirituale. So che, se mi sento meglio fisicamente, mi comporto meglio anche con me stesso. Per me lo sport, dove si vince e si perde, è uno strumento capace di renderti più forte, perché ti fa comprendere gli alti e bassi dell'esistenza. 

Ha mai subito episodi di razzismo?

Sono cresciuto in un quartiere dove era un problema costante e ancora oggi lo è, sotto diversi aspetti. Ma ho insegnato ai miei figli a combatterlo cercando di evocare sempre negli altri sentimenti positivi. Per fortuna i tempi sono cambiati: il futuro è nei giovani, per questo dobbiamo puntare su di loro. 

Chi l'ha ispirata di più nella sua vita?

Mia nonna, che è stata sempre attiva a favore della comunità e della Chiesa battista. La ricordo sempre sorridente e piena di "serendipity". Aveva una grande fede, al punto che quando venne il suo momento non aveva paura, era anzi eccitata all'idea di andare in un altro mondo. Dio le ha dato una forza incredibile per affrontare tutto. 

La celebrità l'ha raggiunta presto, prima in tv con la serie Willy, il principe di Bel-Air e poi con grandi blockbuster come Independence day e Io, robot. L'ha cambiata?

Non avrei mai immaginato di diventare tanto famoso: lo vivo come un dono magico che mi permette di rendere il mondo un posto migliore, di attuare piccoli cambiamenti positivi. Probabilmente, se non fossi una star, nessuno mi ascolterebbe. 

Qual è il suo peggior difetto?

Ne ho tanti... a cominciare dalla testardaggine. Quando mi fisso su qualcosa sono peggio di un mulo. E poi sono un workaholic, posso lavorare diciotto ore al giorno, senza soste, alzandomi alle quattro del mattino e infliggendomi anche tre ore di palestra. Il punto è che amo tutto quello che faccio, dalla recitazione alla musica e non mi stancherei mai di produrre o essere produttivo... Ma a volte dimentico che gli altri non hanno il mio stesso ritmo! Poi so anche essere piuttosto noioso. I miei mi fanno notare che sono capace di ripetere lo stesso scherzo o raccontare  la stessa barzelletta anche mille volte (ride, ndr).

I suoi figli fanno carriera. Willow, a 15 anni, è brand ambassador di Chanel; Jaden, a 17, è rapper, attore e ha fatto il modello per una collezione femminile di Louis Vuitton. Qual è il miglior consiglio che ha dato loro?

Onestamente, sono stati loro a dare una lezione a me. Mi hanno insegnato che il vero amore è lasciar fare agli altri ciò che li rende felici. A volte si hanno aspettative, grandi speranze per i figli, spesso però il nostro disegno mentale non corrisponde al loro. Essendo molto protettivo cercavo, direttamente o inconsciamente, di spingerli nella direzione che io sognavo. Ho imparato col tempo a rispettare le loro scelte.

In famiglia siete tutti personaggi pubblici e i social media non risparmiano nessuno. Mai avuto problemi?

Se parliamo di fama, mi ha spezzato il cuore scoprire che il film After earth non sia andato bene al botteghino, perché mio figlio Jaden vi era coinvolto. Pensare a quanto poco i soldi e il successo contino quando si viene feriti mi ha colpito. Per quanto riguarda invece i social media, tutti possiamo esserne vittime, non solo le star. Ma dobbiamo imparare a conviverci, perché fanno parte del presente.  

Com'è che è diventato così saggio?

Sa, la vita è piuttosto complicata, non credo nelle persone cattive, solo nelle scelte sbagliate. Sono convinto che ogni essere umano abbia qualcosa di buono in sé. A volte, a causa di situazioni o incontri sbagliati, succede che perdiamo la testa... Ma ho imparato che c'è sempre per tutti una via d'uscita e una possibilità di ricominciare.