Andrew Garfield sembra un'altra persona da quella incontrata al festival di Venezia solo 2 anni fa, quando si presentò con 99 Homes, dramma sulle famiglie sfrattate e ridotte sul lastrico a causa della crisi dei mutui americani: «Non credo sia il compito di un attore parlare di questi argomenti», aveva risposto a una domanda su cosa pensasse circa le responsabilità del sistema bancario. Oggi invece Garfield, 33 anni, non le manda a dire. È qui per parlare del suo nuovo film, La battaglia di Hacksaw Ridge diretto da Mel Gibson (nelle sale, candidato a 4 premi Oscar: miglior film, regia, montaggio e attore protagonista). Lui interpreta Desmond Doss, medico e cristiano avventista che si arruolò allo scoppio della seconda guerra rifiutandosi però di portare in battaglia qualsiasi arma. Salvò la vita a 75 uomini feriti durante la battaglia di Okinawa, trasportandoli in spalla lungo un dirupo e diventando il primo obiettore a guadagnare la Medal of honor.

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Andrew Garfield e Teresa Palmer in una scena di La battaglia di Hacksaw Ridge.

Questa nomination è la prima della sua carriera. A suo dire, inaspettata. «È una figata pazzesca. Ma di certo c'è un errore», ha commentato quando il suo agente l'ha avvisato, mentre girava Angels in America, a Londra. Quanto alla nomination per il regista Mel Gibson, dopo le critiche per le dichiarazioni antisemite e il suo turbolento passato, che ne pensa? «Penso sia fantastico. Ha fatto un lavoro enorme su se stesso ed è guarito. È bello sapere che gli sforzi, la pazienza e l'umiltà vengono riconosciuti. Il pubblico lo ha visto nel suo peggior stato e ora può vederlo in un altro modo», ha dichiarato ai giornali. Ma quando lo incontro, l'Oscar è un pensiero ancora lontano. Dunque partiamo da Desmond Dess. «Mi piacerebbe essere come lui, ma purtroppo viviamo in una cultura che non incoraggia ad essere se stessi», esordisce.

Che vuol dire

In questa società capitalistica ci viene chiesto di essere stupidi, consumare il più possibile e non mettere nulla in discussione. Vivere andando controcorrente, come Desmond, è faticoso e pericoloso.

Spider-Man e Desmond Doss: chi è più eroe?

Desmond, senza dubbio. Il suo è un eroismo vero, non di cartapesta come quello di Spider-Man: incarnare un uomo che, mingherlino come me, è riuscito a calare 75 commilitoni giù da una scarpata mi ha fatto pensare a quelle madri che sollevano un camion con le braccia per liberare i figli intrappolati.

I fan di Spider-Man non la prenderanno bene.

È un ruolo a cui devo molto, anche se non è stato facile lasciarselo alle spalle. Arrivare a lavorare con Mel Gibson, come con Martin Scorsese in Silence, è stato un lungo percorso. Ho imparato ad aspettare.

Per lei cos'è l'eroismo?

Quello di persone come mio fratello, medico a Londra, che ha una moglie e tre figli e fa gli straordinari in ospedale per curare chi ha bisogno di lui. O di un amico di Chicago che lavora nell'ombra per recuperare giovani finiti nella morsa delle gang. I veri eroi non vengono applauditi, come capita a me, né tengono conferenze stampa. Desmond, per dire, neanche l'avrebbe voluto un film sulla sua vita.

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Andrew Garfield, in una scena di Silence, diretto da Martin Scorsese.

Non è un paradosso averlo realizzato?

Certo, e infatti l'unico modo di lavorare è stato di infondere il più possibile la sua essenza nel film e rispettare le sue intenzioni.

Qual è l'insegnamento più importante che ha tratto da questo personaggio?

Che bisogna cercare di capire cosa si vuole veramente nella vita. E che bisogna vivere e lasciar vivere, come faceva lui, amando il prossimo nel modo più semplice possibile.

Lei ci riesce?

Ci provo nella vita di tutti i giorni, anche se riuscire a non discriminare non è così facile. Ma sono convinto che le differenze tra le persone vadano celebrate e che il disaccordo aiuti il dibattito, purché sia rispettoso.

Se non sbaglio questo è il suo primo flm di guerra: com'è andata nelle scene di battaglia?Aveva ragione Vince Vaughn quando mi ha detto: «Non sai quanto è dura fare la guerra per finta!». È stata un'esperienza brutale, soprattutto fisicamente: dopo avere sollevato due persone mi sono reso conto che non era un lavoro per me. A parte lo sforzo poi, è diffcile recitare una situazione tanto estrema come la guerra, e rappresentare in modo veritiero l'orrore che ha provato chi c'è stato davvero. Nonostante le difficoltà attraversate, Desmond era un uomo contento della vita.

Cosa la rende veramente felice?

Dimenticarmi di me, del mio egocentrismo e mettermi a disposizione di una causa più grande. Aprirmi al mondo, agli altri e alla natura. La vita è assurda, ma non scordiamoci che è anche un vero miracolo.