«Posso chiederti un consiglio?», mi chiede Nanni Moretti. «Sui suoi film?». «No: mi dici che devo fare per piacergli?». Karolina, chiamiamola così, non avrà nemmeno 20 anni e, insieme ad altri giovani volontari, era «l'angelo custode» degli ospiti di riguardo del T-Mobile New horizons film festival di Breslavia, in Polonia, che si è tenuto a luglio 2016.

Solo che quando mi insegue, alle porte del prestigioso hotel Monopole, è un angelo sull'orlo di una crisi di nervi: il regista italiano è in città per un'importante retrospettiva sui suoi film, e l'evento - per chi si occupa della logistica di un festival - ha la portata di una calamità naturale. «A me sembra una persona buona», riflette la ragazza, cercando il mio nome nella lista delle interviste appena cancellate da Nanni Moretti, «però qui a tutti mette terrore». 

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Il regista a Breslavia, in Polonia, davanti a un\'installazione dell\'artista Krysztof Bednarsky.

Terrore. Mi viene il dubbio di aver sottovalutato la missione. Eppure il regista, il giorno precedente, mi era sembrato in gran forma. Davanti al pubblico polacco aveva tenuto una masterclass di due ore, rispondendo ispirato. «Per questi primi 40 anni ho fatto film solo quando avevo l'urgenza di raccontare una storia perché i film per me sono come pezzi della mia vita. Perciò non riesco a girarne uno dopo l'altro: ho bisogno di ricaricarmi prima di dirigere il successivo». Nel pomeriggio l'avevo visto prestare serenamente il sorriso agli schermi degli smartphone, per le foto con i ragazzi. E dopo una visita alla mostra di Krzysztof Bednarski, celebre artista polacco, s'era lasciato incantare, al ristorante, dai racconti di viaggio di un giovanissimo chef-globetrotter pugliese. Persino con me era stato gentile. 

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Il regista con l\'attrice Margherita Buy.

Il mio unico incontro con Nanni Moretti, va detto, risaliva al Natale di qualche anno prima. Ero stata invitata da un'amica a una tombolata fra ex studenti di cinema, una di quelle serate goliardiche di chiacchiere alticce e amarcord dei 20 anni. Solo che, a sorpresa, si presentò Nanni. Non so se lo fece più per il gusto di studiare l'habitat di alcuni dei giovani con i quali aveva lavorato o semplicemente per spaventarci. In ogni caso, ritrovare a Breslavia la tizia che gli rubò la cinquina al tombolone di Natale dev'essere stato per lui un po' come incontrare il vicino di ombrellone nelle segrete del Cern di Ginevra. Ma era stato cordiale.

E infatti la mia intervista, con sommo stupore di Karolina, è ancora programmata sulla lista. «Hai paura?», mi chiede, scortandomi verso una specie di saletta per gli interrogatori nel piano interrato dell'hotel. Mi siedo davanti a Moretti. «Non parlo di politica », attacca subito lui. Ma nei suoi occhi c'è un guizzo. Sembra divertito. «Lo sai che in genere io le interviste le evito, no?», aggiunge sibillino. E io lo so bene che stare con lui, in quel momento, è quasi un miracolo. O forse no. «Non ho antenne così attente alla realtà come quando ero ragazzo. Ai tempi di Ecce bombo (1978, ndr) raccontavo quello che vedevo e, senza accorgermene, dicevo tante cose del mio mondo: era un periodo in cui scrivevo anche con più disinvoltura, ero meno critico verso me stesso».

Il rapporto del regista con i social network 

L'intervista diventa quasi subito un match tra Moretti e il mondo contemporaneo. Il rapporto con il computer: «Sono un disastro, mi sono immedesimato nel protagonista dell'ultimo film di Ken Loach (I, Daniel Blake, ndr), che non sa nemmeno usare il mouse »; i social network che gli provocano imbarazzo, «per tutti quei finti me su Facebook e Twitter. Mi stupisce che ci sia qualcuno che crede veramente di comunicare così con me. È una cosa seccante». I ragazzi però li conosce bene (suo figlio Pietro, pittore, ha 20 anni) e non ne giudica i gusti: «Nel mio cinema, il Sacher, manca il ricambio generazionale. È un dato di fatto, non una polemica: se i ragazzi vanno al cinema, oggi, ci vanno per vedere altri tipi di film in altri tipi di sale. Naturalmente non mi fa piacere». Lui stesso, che 40 anni fa cominciò col Super 8, oggi i suoi esperimenti li farebbe come un ventenne del 2016: «Con lo smartphone. Anche se la leggerezza dei mezzi digitali dà l'impressione che fare un film sia facile, qualcosa su cui non sia necessario riflettere».

E se Nanni Moretti approdasse in tv?

Il terrorismo raccontato al cinema non riesce a immaginarlo, gli piacerebbe, però, sapere in che modo «i registi Abbas Kiarostami e Krzysztof Kieslowski avrebbero potuto raccontare indirettamente questi anni di paura e sgomento». La domanda sul suo prossimo film la definisce «pornografica», tanto che si ritira subito: «Sto girando intorno a delle idee». Poi, però, si concede: «Le serie tv le guardo . Vorrei girarne una, anche se da quel che mi dicono la televisione ha ritmi che non mi appartengono, molto frenetici. Mi spaventano i tempi serrati, ma non escludo la possibilità di farlo. Sia come regista sia come attore». Karolina batte un dito sul vetro della porta, Moretti mi guarda: «Va bene?». Ho la sensazione che l'outsider che ancora si nasconde in lui, dietro al mito che abbiamo issato sul piedistallo istituzionale, forse si divertirebbe a continuare. Ma esco, obbediente. «Trattalo com'è davvero», dico a Karolina. ««Trattalo come uno splendido sessantenne».