La storia di Elisa Di Francisca è di quelle che, per essere capite meglio, vanno raccontate partendo da metà. Che, nel suo caso, vuol dire iniziare dal 28 luglio del 2012. Giorno in cui, a 29 anni suonati (ma, soprattutto, alla sua prima volta alle Olimpiadi), sbancava il banco vincendo un oro nella gara di fioretto individuale, con Arianna Errigo e quel mostro sacro della Vezzali ad accontentarsi del secondo e del terzo gradino di un podio tutto italiano. Non che fosse proprio una sorpresa, perché da un anno e mezzo la ragazza aveva cominciato a collezionare ori (un mondiale, un europeo e una coppa del mondo, trovando anche il tempo di vincere il talent Ballando con le stelle nel 2013). 

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Ma le Olimpiadi, si sa, sono una faccenda a parte. E 29 anni sono un'età in cui, nello sport, certi treni pensi siano già andati, non che debbano ancora passare. Invece il suo treno è arrivato lì, quando lei aveva gambe (e cuore) finalmente abbastanza forti per saltarci su. Perché, spiega, la vita e la scherma si somigliano: un attimo prima è troppo presto, un attimo dopo troppo tardi. In mezzo c'è la stoccata vincente e, per tirarla, lei ha avuto bisogno di tempo. Anche per scendere dalla pedana e, poi, risalirci. La incontro a Jesi, dove è nata (come le più grandi schermitrici italiane: Giovanna Trillini e Valentina Vezzali) e dove vive. Arriva di corsa dopo un allenamento che neanche il sergente di Ufficiale e gentiluomo si sognerebbe. Perché la scherma è senso del tempo e fatica. «Più faccio fatica più sono felice. E con il dolore è lo stesso: devo veder scorrere il sangue per sentirlo». 

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A Rio ci arriva da prima della classe. 

In questi Giochi non c'è la gara di fioretto femminile a squadre. C'erano due posti a disposizione e fino all'ultimo non sapevamo chi sarebbe andata. Esserci è già tanto. 

Ha esordito alle Olimpiadi a 29 anni e ha vinto un oro: sembra una favola.

Ognuno ha i suoi tempi. Io ho avuto bisogno di fare le mie esperienze, capire quello che volevo davvero. Per un anno e mezzo ho anche abbandonato la scherma. 

Perché?

A 18 anni non ero disposta a fare grandi rinunce. Ho lavorato in gelateria, al bar, ho vissuto la mia età. E poi c'era un uomo.

Che cosa c'entrano gli uomini con la scherma?

Era gelosissimo, voleva controllarmi in ogni momento. Ero innamorata e non mi accorgevo di quanto fosse morboso. Andavo agli allenamenti e lui mi chiamava in continuazione. Pensavo: gli manco. Così ho smesso. Non è che se un fidanzato non ti fa uscire la sera è perché ti ama, ma allora non lo capivo. L'amore è libertà.

Quando l'ha capito?

Quando ho trovato il coraggio di lasciarlo. Ho imparato ad amare me stessa. Con la violenza non si scherza: da una spinta si passa a uno schiaffo e da uno schiaffo a qualcosa di più. Guardi cos'è successo a quella ragazza di Roma (uccisa e bruciata dall'ex fidanzato, ndr). Io sono stata fortunata, lei non c'è più.

Quando ha lasciato lui è tornata in pedana? 

Sì. Era tardi, ma solo allora ho avuto la maturità per vincere. 

Com'è arrivata alla scherma?

Un po' perché sono nata a Jesi: dalla palestra del maestro Ezio Triccoli ci sono passati così tanti campioni che una puntata ce la fanno tutti i bambini. Mia madre mi voleva ballerina: dopo un anno, però, non ne potevo più. Avevo bisogno di sfide. 

È competitiva?

Ribelle. Poco incline alle regole. Se i miei genitori mi dicevano una cosa, io facevo il contrario. 

Che famiglia ha avuto?

Mio padre è il classico che sbraita e urla, ma è buono. Mia madre non si arrabbia mai, ma se lo fa tutti fuggono. Sono il giorno e la notte, ma ci hanno insegnato a essere liberi. 

A proposito di squadra: questa è la prima Olimpiade senza la Vezzali.

Avere davanti campionesse come Valentina da un lato è bello, perché da loro impari cose che mai oseresti. Dall'altro però hai sempre un muro sopra. 

La Vezzali dice che amiche nella scherma non poteva averne. 

Lei ha bisogno di considerare l'avversario un nemico. Nel momento in cui la battevi diventavi la nemica numero uno anche se ci scherzavi fino al giorno prima. Ti ammazzava anche fuori dalla pedana con battute e occhiatacce.  

Perché voi femmine vincete di più?

Siamo più forti rispetto ai maschi e più determinate. Detto questo, dobbiamo ringraziare Aldo Montano che, con il suo oro olimpico e le fidanzate, è riuscito a dare alla scherma una popolarità che né Valentina né Giovanna (Vezzali e Trillini, ndr) avevano conquistato, sempre chiuse in palestra. 

I sacrifici a 33 anni non le pesano più?

Meno. Ho imparato a scegliere. Prima era un casino: mi allenavo, uscivo, facevo tardi, ripartivo. Adesso so che se faccio tardi tre giorni di fila è un macello. 

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E l'amore?

L'ho trovato da poco. Fa il produttore televisivo. L'ho conosciuto durante un programma a cui ho partecipato a Milano. Purtroppo lui vive lì, io a Jesi. Invece la quotidianità vorrei vivermela tutta: addormentarci insieme, svegliarci insieme. Sapere che è lì. Mi manca non potergli fare una sorpresa. 

Che cosa deve avere un uomo per piacerle?

Essere un po' matto. E poi deve proteggermi e darmi sicurezza. Ho bisogno di sapere che lui c'è. 

Figli ne vuole?

Ci penso spesso. L'ho sempre vista come una cosa lontana, ma ora che ho trovato l'uomo giusto, mi sembra più fattibile. 

Ci sono atlete che rimandano la maternità per la carriera.

Non io. C'è un tempo per tutto nella vita. Un figlio vale il sacrificio.

Il 10 agosto sale in pedana per difendere, a 33 anni, il suo oro olimpico. Dormirà la sera prima?

Sicuramente. Io la tensione non la sento. Non ho riti scaramantici, oggetti portafortuna. Credo in Dio, negli esseri umani e in me stessa. Per vincere mi serve una cosa sola.

Che cosa?

L'amore. Infatti, appena ho conosciuto Ivan, ho vinto cinque gare di fila. Rendo di più perché non mi sento sola.