Chissà se il treno speciale che pare passi una sola volta nella vita annuncia in qualche modo il suo arrivo ai propri passeggeri unici. Un fischio, un WhatsApp, una notizia sul giornale. Se è così, Lorenzo Richelmy, 25 anni, volto noto della tv, un'interpretazione che ha lasciato il segno in Il terzo tempo di Enrico Maria Artale, l'ha avvertito forte e chiaro e ci è saltato sopra al volo. E siccome sulle prime il convoglio non passava per lui, l'ha pure ostinatamente rincorso. Il suo treno si chiamava Marco Polo, serie sontuosa (si mormora la più costosa di sempre) sul grande esploratore e mercante italiano, prodotta e trasmessa in streaming da Netflix, di cui ha debuttato il 1° luglio 2016 la seconda stagione. «Nessuno mi convocò per un provino, ma sapevo di essere giusto per il ruolo: sono italiano, ovvio, ma sono anche assetato di scoperte, un viaggiatore avventuroso e senza pregiudizi come lui». Armato di temerarietà e ottimismo, spedì un provino autarchico in Inghilterra. Pare sia stata la moglie di John Fusco, creatore della serie, a trovarlo. E a dire al marito: «Ti presento Mr. Polo».

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Lorenzo Richelmy in una scena della seconda stagione di Marco Polo, in streaming su Netflix.

Così è iniziata la sua avventura, arruolato da Netflix, non meno disorientato di Marco Polo alla corte del Kublai Khan, tra intrighi di corte ed epiche battaglie.

È stato quel poco di mio che nella prima stagione ho regalato al personaggio: anch'io ero straniero e sconosciuto in una produzione faraonica. Ho dovuto imparare tutto: mi hanno insegnato a parlare l'inglese, praticare il kung fu, andare a cavallo, tirare con l'arco e di spada. La prima stagione è stato un lungo, difficile training, lontano da casa per otto mesi: non solo non parlavo la lingua, ma ho perso all'improvviso tutta la mia vecchia vita. Uscito da quell'esperienza, non ho voluto fare niente per un mese.

E dopo la seconda stagione, se questo personaggio fosse un vestito, come se lo sente addosso?

Come un abito comodo: più vado avanti e più diventa sgualcito, però in maniera bella, perché l'ho adattato io.

Dopo un apprendistato da marine. 

All'inizio obbedivo soltanto, all'insegna della sopravvivenza, sperando di non fare brutte figure, ma in realtà colpevole del provincialismo che affligge tutti noi italiani. 

Nel senso che ci sentiamo sempre inadeguati?

Una sensazione il più delle volte sbagliata. Quando pensiamo al mercato in lingua inglese, ci sembra sempre che loro siano meglio di noi. 

Ci vuole anche un po' di faccia tosta, senza offesa.

Ma che scherza? Certo, tocca essere un po' paraculi nel nostro mestiere. Purtroppo coltiviamo solo l'accezione negativa di questo talento, che si fonda sull'autoironia, che ti permette di dirti: sai che c'è? Io mi metto in gioco, al massimo mi va male. Il difetto è parte del processo di crescita. 

Cosa la faceva sentire così giusto per Marco Polo?

C'era una certa consonanza, la passione per il viaggio, soprattutto per il Sudest asiatico: prima di aver girato la fiction ero già stato in tutti i posti in cui è stato Polo, tranne la Cina. E poi la capacità di non farsi invischiare dai pregiudizi, giro il mondo da quando avevo nove anni, il primo viaggio è stato in India: quando fin da piccolo sei così sollecitato da culture diverse, impari ad apprendere e basta, perché se ti blocchi ti fai male da solo. E questa la ritengo anche una caratteristica fondamentale del personaggio: Polo è stato, anche storicamente, uno dei primi a creare un ponte tra Oriente e Occidente. Aveva la capacità di non guardare le cose col filtro del suo background culturale, lasciandosi sorprendere da un nuovo mondo. Senza paura del diverso.

Lorenzo Richelmy in una scena di Marco Polopinterest
Lorenzo Richelmy in una scena di Marco Polo.

Lo rifarebbe?

Certo. Mi ha dato molto coraggio sapere di riuscire a ottenere qualcosa su cui ho molto lavorato e creduto.

Qual è stata la cosa più difficile da imparare?

L'inglese, la lingua è una parte fondamentale del mio mestiere. Dovevo imparare a comunicare non per farmi capire, ma per esprimere sfumature ed emozioni: grazie al cielo ho avuto una serie di professionisti che mi hanno aiutato.

E la cosa che le è piaciuta di più?

Andare a cavallo: per un attore vuol dire non dover fare niente, fa tutto il cavallo. È il solo momento in cui non senti la pressione: non devi esprimere altro che il senso di libertà sfrenata di un uomo che attraversa al galoppo una pianura sconfinata. Straordinario.

38 nazionalità diverse sul set, come s'è trovato?

All'inizio malissimo, ero la pecora nera italiana, non capivo niente, il regista mi parlava e non reagivo. Ma alla fine, eravamo tutti lontanti da casa, in territori estremi, tutti sottoposti allo stesso duro allenamento. Questo ci ha affiatati in fretta, dopo un po' sono diventato la mascotte del set.

Con chi si è trovato meglio?

Pierfrancesco Favino, che nella fiction è mio padre.

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Richelmy e Favino in un\'altra scena della serie tv.

Perché è italiano?

Perché è di Roma. Scherzo: è un uomo immenso.

E gli altri, ora le mancano?

Macché, sono appena stato a New York con tre di loro, abbiamo preso una casa insieme: chiacchiere e birre.

Cos'altro ha imparato a parte l'inglese e il kung fu?

Nel mondo Marco Polo è descritto come un viaggiatore, un mercante: in realtà dopo vent'anni con Kublai Khan è tornato in patria senza portarsi dietro niente. Che razza di mercante era? Perché è stato lì? Quello che probabilmente deve essergli accaduto è che si è innamorato di ciò che credeva essere un mondo di barbari. In realtà, una società molto più avanzata di quella europea del suo tempo, sia economicamente che socialmente: stiamo parlando dell'impero mongolo, uno dei più grandi della storia.

Sapeva già tutto di quel periodo storico?

Assolutamente no. John Fusco, il creatore della serie, mi ha dato libri e documenti su cui studiare, mi sono fatto spiegare Marco Polo e l'Italia del tempo da un americano.

Senza spoiler, che accade nella seconda stagione?

Vi sorprenderà parecchio, vedrete cose scioccanti. Anche a me, quando leggevo la sceneggiatura, cadeva la mascella.

La serie ha scene molto forti, le ha creato imbarazzo?

Mai. Vado forte nelle scene forti: nudità e affini.

Ci sono scelte che al posto di Polo non farebbe?

Quando entri in un personaggio diventi il suo alleato. Certo, so benissimo che, se invece che fare la guerra per il Khan fosse scappato con la principessa Kokachin, sarebbero stati tutti più contenti... Ma era pur sempre Marco Polo.

A proposito di Kokachin, è davvero esistita.

Ce ne sono state due, il personaggio è la fusione di due donne che davvero hanno incrociato la storia di Polo.

Entrambe con intercorsi romantici?

Quella è una licenza poetica. Anche se, nel suo ritorno dalla Mongolia verso l'Italia, Polo fu incaricato dal Khan di scortare una delle due Kokachin con una spedizione di navi in Egitto, dove sarebbe andata in sposa a un notabile locale. Pare che, in quei lunghi mesi di viaggio, i due si innamorarono. Senza consumare, eh? Perché comunque la verginità all'epoca era questione cruciale. Insomma, una storia molto romantica. Marco Polo si portò in Italia un pezzo del suo vestito, una delle poche cose rimaste di lui.

Davvero romantico. E lei cosa ha fatto per amore?

Parecchie follie. Amo le sorprese: durante la prima stagione sono tornato dalla Malesia senza dire niente a nessuno: ho bussato alla sua porta quando lei mi pensava lontano.

Bello, ma pure rischioso. Lo sa, vero?

L'ho detto che sono un uomo molto avventuroso.