Nelle mutate condizioni sociopolitiche – vi fosse sfuggito: da mezzogiorno del 20 gennaio Donald Trump è il presidente degli Stati Uniti, e chissà cosa ne sarà di noi – emergono nuovi caratteri antropologici. Jared Kushner è il gattomorto.
All'inizio della campagna elettorale era soltanto il marito segaligno di Ivanka Trump, erede di palazzinari ebrei di chiacchierato impianto democratico – il padre Charles nel 2005 è stato condannato per evasione fiscale, donazioni illegali, ostruzione alla giustizia – e proprietario del New York Observer, un settimanale che dice di aver comprato coi soldi guadagnati negli anni di Harvard. Nell'irrequieto sistema feudale trumpista, Kushner sembrava messo lì in quanto genero devoto: una dinamica persino femminista.
Col tempo è stato chiaro invece che darsi arie inoffensive, in mezzo a quella gran caciara, era una strategia feroce: dopo aver neutralizzato il direttore della campagna elettorale – incidentalmente già pubblico ministero nel processo contro suo padre – adesso Jared è gran consigliere del presidente. Il più ascoltato di tutti.
Prima di trasferirsi a Washington, lui e Ivanka hanno rinunciato a ogni incarico privato per evitare conflitti d'interessi (il Donald, per dire, se ne è ben guardato). Non c'è neanche più quel fastidioso impiccio della legge anti-nepotismo: il dipartimento di giustizia ha dichiarato che non si applica alle nomine dirette del presidente alla Casa Bianca. È precisamente da questi particolari che si giudica l'uomo più potente del mondo.