La prima volta che l'ho aspettato, Jovanotti aveva trent'anni ed era un problema. Conducevo un programma radiofonico al pomeriggio, era la prima volta che facevo quel lavoro e non sapevo niente di niente (avevo 24 piccolissimi anni). Il suo arrivo fu preceduto da una settimana di paturnie di tutti i dirigenti della radio: «Stai attenta, guarda che è uno importante, non farlo innervosire». La prima volta che l'ho incontrato, Lorenzo ha trasformato quel problema in opportunità: se la tirava un centesimo degli altri ospiti (quelli che vendevano un centesimo dei suoi dischi), aveva voglia di parlare di qualunque cosa, era lì a presentare Bella e quindi la prima cosa che gli chiesi fu perché nella canzone si fingesse fornaio. Disse con grande allegria che l'amore va badato, come il pane, sennò si brucia. Lo accompagnava una ragazza con gli occhi blu, Bella era la prima canzone che scriveva per lei (anni dopo, mi avrebbe detto che Beatrice mica è Beatrice neanche in Dante: «Tutte le canzoni parlano di Francesca, anche quelle scritte prima di lei» – ma poi su questo ci torniamo). 

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Il 27 settembre Lorenzo compie cinquant'anni, la ragazza con gli occhi blu è già da qualche anno sua moglie (credo l'abbia sposata per allegria), la bambina che hanno avuto sta per cominciare l'università. Siamo diventati tutti grandi, ma una cosa è rimasta uguale in questi quasi vent'anni: Lorenzo è un'opportunità. È l'egoista più generoso che conosca: ricorda quella frase di Vittorio Gassman, «Mi accorgo soprattutto di me, non posso farci nulla», e se non sei così mica stai su un palcoscenico, soprattutto non ci stai con la costanza e con il successo con cui lo fa Lorenzo; ma non si risparmia mai: è quello che ti dà le migliori interviste, i migliori consigli, i migliori pareri quando vuoi farti un'idea su qualcosa di pop o anche di non pop. Vent'anni dopo, credo d'aver capito che le due cose sono legate. 

«È l'egoista più generoso che conosca: ricorda quella frase di Vittorio Gassman, "Mi accorgo soprattutto di me, non posso farci nulla"»

Quando lo incontrai trentenne, Lorenzo era già Jovanotti da almeno tre vite. Era stato il ragazzino col cappellino storto il cui servizio di leva diventa un evento nazionale, modello Gianni Morandi. Aveva già smesso di fare i programmi del sabato sera in tv e il dj nelle discoteche. Aveva già concluso il suo periodo da simbolo del disimpegno, qualunque cosa significhi questa parola e qualunque patologia porti qualche ventenne a non essere disimpegnato (quelli che non fanno gli scemi a vent'anni finiscono poi per farlo a sessanta, e quella sì che è una tragedia). Era stato quello che a un certo punto, controvoglia, ci si era ritrovati a dover prendere sul serio: quello di Penso positivo, uscita nel '94, l'anno in cui si è fidanzato con la ragazza con gli occhi blu. Quel disco lì è in uno stato di grazia ed è il momento in cui la tromboneria culturale del Paese si trova a fare i conti con un'ovvietà imprevista: i ragazzini scemi poi crescono. Alcuni diventano intellettuali moderni. Alcuni cominciano tardi a leggere libri e poi superano tutti quelli che si erano impegnati fin da piccoli (la vita è ingiusta). Alcuni concepiscono slogan che definiscono i decenni successivi, e lo fanno senza mai smettere di vestirsi come dei pirla (solo Johnny Depp mi fa sospirare la quantità di «Ma come ti sei vestito» che m'induce Lorenzo; non essendo tracagnotto come Johnny, a Lorenzo stanno però bene tutte le stranezze; essendo Lorenzo pur sempre Jovanotti, si sopporta anche che tenga il cappello al ristorante: se non si può pretendere da una popstar che non sia egocentrica, tanto meno si può pretendere che sia adulta). 

Soprattutto, a quei tempi aveva già fatto Lorenzo 92, che a mio insindacabile giudizio è il disco della svolta, è il disco che spiega tutto a chi abbia voglia di ascoltare (Lorenzo 94 era invece un disco che parlava anche ai sordi). In Lorenzo 92 c'è Ragazzo fortunato. Il secolo della lagna non era ancora cominciato e lui già lo disarmava. Non c'è stato, nella storia del pop italiano, gesto più rivoluzionario che incidere Ragazzo fortunato. Che è un manifesto del pensiero positivo molto più di Penso positivo. Che è la sovversiva presa di posizione di uno che sceglie di non percepirsi come uno che ha tutti contro ma lui eroico resiste, o come uno che meritava di più ma tutti gli altri sono raccomandati, o come uno che se non riesce a farsi strada è perché i padri sono troppo ingombranti – anzi: «Se io fossi capace, scriverei Il cielo in una stanza». Ragazzo fortunato è la canzone del prenderla bassa con le lamentele, tanto si sa come va: «Un giorno sembra l'ultimo, un altro è da impazzire». È la canzone di chi ha talento e quindi non ha paura che gli rubino un'idea, tanto ne avrà sempre altre nove: «Di dieci cose fatte me n'è riuscita mezza». È il coraggiosissimo manifesto del prendersi il lusso di dirsi fortunati e coi sogni in regalo, perché tanto nessuno metterà in dubbio che ti sia meritato e guadagnato tutto, e del fare la faccia felice comunque vada, come programma politico, perché tanto mugugnare non serve a niente: «All'inferno delle verità io mento col sorriso». Lorenzo è quella cosa lì: quello che si permette generosità perché è sicurissimo delle proprie doti, quello che vezzosamente dà credito alla fortuna perché è certo del proprio talento. Ragazzo fortunato è la meno italiana delle canzoni italiane: chissà se quelli che la squarciagolano nei bis dei concerti se ne accorgono. 

«Ragazzo fortunato è la canzone di chi ha talento e quindi non ha paura che gli rubino un'idea, tanto ne avrà sempre altre nove»

Da quella volta in cui aveva trent'anni ci sono state almeno altre tre vite. C'è stato l'impegno politico, e poi i giri del mondo e infine (ma non è mica finita) la trasformazione in monumento nazionale. Ormai Lorenzo è così riempitore di stadi, catalizzatore di consensi, venerato maestro, che i malati di bastiancontrarismo devono inventarsi nuove nicchie. Ne conosco alcuni che, pur di farsi notare, dicono che il Lorenzo di La mia moto era meglio di quello di Sabato. «Lo preferivo col cappellino al contrario» è il modo in cui l'inconscio svela che sei tu, che ti preferivi da giovane: senza mutuo e senza prostata. Non rivuoi La mia moto: rivuoi i tuoi vent'anni. E non c'è niente di più fastidioso di un tuo coetaneo che invece sta evidentemente pensando alla prossima impresa. 

Da quella volta in cui aveva trent'anni, l'unica costante è rimasta la ragazza con gli occhi blu. Che come musa funzionicchia, se è per lei che Lorenzo ha scritto da Bella a Ragazza magica passando per A te, Un raggio di sole, Stella cometa. L'unica volta che gli ho chiesto se lei fosse gelosa di quelle prima – di Chissà se stai dormendo, o di Io ti cercherò – lui mi ha risposto: «Devo cantarle sempre con un certo distacco, un po' alla Aznavour». Arrivare a cinquant'anni con una moglie che ti ama ancora abbastanza da essere gelosa delle canzoni di quando ne avevi venti: mica male invecchiare restando un ragazzo fortunato