E così, alla morte di Marco Pannella, un Parlamento intero gridò: «Siamo tutti pannelliani!». È successo, e davvero pare incredibile veder sfilare dinanzi al corpaccione grande e affusolato del leader radicale, esposto nella storica sede del suo partito, figure così diverse e distanti della politica italiana. Rappresentanti di una nazione che non ha una legge sul testamento biologico, figuriamoci sull'eutanasia o la legalizzazione delle droghe leggere. 

Un Parlamento che non è stato capace di votare la legge sulla stepchild adoption, l'adozione del figlio del convivente nelle coppie omosessuali, rende omaggio all'uomo politico che più di chiunque altro si è battuto per i diritti. Spesso inascoltato, sovente deriso. Trattato in vita come reliquia, folclore, rompiballe supremo. E, appena morto, celebrato come padre della patria. 

L'Italia è proprio un Paese strano. Dove, per dire, uno come Gasparri, pur di guadagnarsi uno strapuntino in un Tg, salta dal Family day al funerale di Pannella come niente fosse. E i giornali indagano sulla malattia e gli amori terminali di Marco con una morbosità tale da squadernare il suo dolore, pubblicarne i rantoli, denudarne i desideri. 

L'Italia ha pianto per Pannella e c'è qualcosa di veramente misterioso in questa terra spaventata dai matrimoni gay e dalla dolce morte, ma avvinghiata agli ultimi istanti di chi ha lottato per affermarli come legge dello Stato. 

Siamo un popolo di incoerenti, maestri del consenso postumo. Ma forse una spiegazione c'è. Nell'Italia esacerbata dalla casta e dal poltronismo, dalla ricerca esasperata del consenso e di un'auto blu, la scomparsa del leader radicale ci ha ricordato che esiste una politica senza potere, fatta d'impegno e di idee, di digiuni e di passione. Era quella di Marco Pannella, un burbero, insopportabile, logorroico, dolcissimo sognatore.