Ogni tanto la moda s'interroga sulle stagioni: sarà il caso di ridurre la distanza tra sfilate e disponibilità nei negozi dei capi? E questa cosa che se vuoi un bel cappotto devi pensarci ad agosto, perché quando viene freddo la collezione invernale sarà finita, proprio non si può risolvere? Io invece ho un altro interrogativo, che non capisco perché non divenga dibattito nazionale se non addirittura universale: perché i negozi non vendono sempre le stesse cose?

Le mie mutande preferite sono azzurre, di pizzo elastico. Comprate una quindicina d'anni fa, ancora resistono: alle centrifughe della lavatrice, al variabile diametro delle mie chiappe, alle rivali acquistate successivamente e mai all'altezza. Ne comprai un solo paio perché, anche se so – lo sappiamo tutte – che quando trovo qualcosa che mi piace dovrei prenderne 20 esemplari, questa regola presenta un problema: che non lo sai mai prima. Quando la compri, quella è una delle mille cose che compri. È solo dopo anni che ti rendi conto che quel paio di scarpe lo frequenti più spesso delle amiche più care, o che nessun'altra molletta ti ha mai tenuto altrettanto bene i capelli. E a quel punto vorresti cento esemplari del tuo acquisto preferito, ma già sapete come va: nel negozio di Roma in cui sono entrata dicendo «Rivorrei quelle mutande che avevate 15 anni fa», mi hanno guardata come se le mutande me le fossi sfilate in pubblico.

Anni fa, Miuccia Prada vendeva parigine. Cambiavano ogni stagione un po': di lana, di cachemire, miste, di seta, con trame diverse. Ma erano tutte morbidissime e meravigliosissime e superiori a qualunque altra parigina prodotta da chiunque altro io abbia mai provato (e credetemi, ne ho provate un sacco: se avessi messo nelle sostituzioni sentimentali l'impegno che ho messo nei tentativi di «chiodo scaccia chiodo» delle parigine, i miei lutti amorosi non sarebbero mai durati più d'un giorno).

Con la tigna di chi non si rassegna al fatto che l'ex ha cambiato casa e numero di telefono, un paio di volte l'anno entro nei loro negozi e chiedo: «Ma non è che sono rimaste delle parigine?». Le commesse sono così giovani che non sanno neanche di cosa parli; non immaginano che c'è stato un tempo in cui, come Holly Golightly andava da Tiffany per le paturnie, io andavo a comprare parigine: in tinte da suora laica, semplici, morbide. Mi propongono calzettoni in fantasie da indossatrice, io scuoto la testa delusa. Finisce come quando esci per comprare il detersivo e torni con un servizio di tazze: io l'ultima volta sono uscita dal negozio senza parigine ma con delle ballerine coi lacci che vanno su per la caviglia (effetto cotechino garantito) e una gonna estiva, di seta. Fuori faceva meno 2 gradi. Ma non mi sono scoraggiata, so come ovviare allo sfasamento delle stagioni. Ho ancora due parigine dei beati anni della tinta unita, di cachemire. Le posso indossare sotto la gonna estiva, mi terranno caldo come fanno da anni. Certo, sono spaiate. Certo, una è nera e una blu. Certo, i tarli le hanno un po' mangiucchiate, ma poco, i buchi sono impercettibili. Non saranno perfette, ma mica sto sfilando: sto affermando un punto di principio. Se ci riesco, e nei negozi potremo trovare a vita le cose che abbiamo capito in ritardo quanto ci fossero indispensabili, allora apprezzerete il mio sacrificio.