Per una settimana le cronache ci sono andate giù dure.Descrizioni minuziose, ricostruzioni pedisseque. Dello strazio di Luca Varani non ci è stato risparmiato nulla. Il martello, il punteruolo, i video stupri sul telefonino. La cocaina, le parrucche, i tacchi a spillo. Manuel Foffo e Marco Prato, travestiti per uccidere.  Per la prima volta, nonostante il cinismo da giornalista esperto, non sono riuscito a terminare la lettura degli articoli. Una morbosità così appiccicosa non la leggevo da anni.  Roba da farti venire il complesso del guardone.

Ma che cosa è successo veramente col delitto del Collatino? Che la violenza assoluta e perversa è diventata il giusto paradigma dei tempi, il simbolo facile del vuoto di valori. Il pretesto per diagnosi strampalate. E allora giù con l'analisi, la sociologia, le dispute su Family day e pianeta gay. Sono andate fortissimo le discettazioni sulla repressione della cultura gender, l'inadeguatezza dei padri, il vuoto della politica. Tutti alla ricerca di un perché. Perché ci si chiude tre giorni in una stanza con 25 grammi di cocaina? Come si fa a dormire abbracciati accanto a un ragazzo che sta morendo? Vuoi vedere che dietro la violenza c'è un rifiuto paterno? Quante balle abbiamo letto e ascoltato su Foffo e Prato. Quante ricerche inutili di un perché. Non c'è un perché, non c'è. 

In American psycho, romanzo folle e bellissimo di Bret Easton Ellis, il male ha l'aspetto di un giovane yuppie newyorchese anni Ottanta ben vestito e accessoriato, razza bianca e conto a sei cifre. Qui al Collatino, di due ragazzi integrati e benestanti, ossessionati dalla coca, dal sesso estremo e dai selfie in canotta. Senza la traccia di un disagio patito, un danno subito, una rivoluzione fallita.  Niente di niente. Né amore né odio. Solo l'attrazione irresistibile e nichilista per la droga, i suoi effetti, le sue perversioni. Per l'affermazione totale di sé. E tutto intorno, noia.