Sulla mia scrivania c'è un foglio con annotate delle idee che potrei voler usare per questa paginetta. Mi sono arresa ad appuntarmele la 150ª volta in cui mi sono resa conto troppo tardi che mi ero dimenticata di scrivere  di una cosa di cui volevo scrivere  (è la versione professionale  di quando mi alzo per andare a prendere qualcosa in un'altra stanza e poi, arrivata lì, mi guardo intorno smarrita: cosa sono venuta di qua a fare?). Su quel foglio, da qualche settimana c'è scritto: «E se una è orfana e zitella?». È una frase che ho scarabocchiato dopo aver letto un po' di reazioni a una storia che qualche settimana fa era su tutti i giornali e i siti: in un reality televisivo, due tizi che non spiccano per eleganza hanno fatto una serie di commenti di quelli che vengono comunemente definiti «da spogliatoio». C'era tutto il repertorio, dalla lista di quelle che ti sei portato a letto (coi nomi, ovviamente tutti noti al pubblico) alle reazioni maschili in caso di tradimento.  Tutti quelli che hanno stigmatizzato l'episodio, ma proprio tutti, l'hanno fatto con la stessa formula: avete offeso delle madri di famiglia. 

Sarà che, come tutti, penso innanzitutto a me; sarà che, pur non avendo mai avuto un padre o un fratello o un marito che mi difendessero dalle prepotenze, mi piacerebbe comunque vedere ufficialmente riconosciuto il mio diritto a essere rispettata; sarà che mi sembra übermaschilista l'idea che, per avere diritto a essere difesa dai maschilismi, tu debba essere annessa a qualche maschio. È tutto un complesso di cose, fatto sta che quel tic da stato di famiglia mi aveva molto irritata. Però poi non ne ho scritto. Ho pensato: magari sono ipersensibile io. Poi c'è stato Trump. E la registrazione di quello che, per giustificarsi, ha definito un discorso da spogliatoio: una conversazione in cui si vantava di saltare addosso alle belle donne, tanto «se sei una star te lo lasciano fare» (che forse non è neanche del tutto falso, ma nella campagna elettorale Usa puoi insultare messicani, reduci di guerra, Presidenti in carica, ma guai se ti beccano a fare lo sciupafemmine). Persino lui, che ha col chiedere scusa il rapporto di Fonzie in Happy days,  si è dovuto scusare.
E tutti i repubblicani, compreso il suo candidato vice, hanno preso le distanze. Tutti come commentando un reality italiano: in nome delle figlie e madri e mogli. Per fortuna sono arrivati Jill e Frank. 

Jill Soloway è la capoprogetto di Transparent, la serie tv che ha vinto ogni premio possibile e anche quelli impossibili. Ha scritto un articolo su Time in cui mette perfettamente a fuoco la questione: è come se l'idea platonica di femminilità fosse divisa in due, metà sono le intoccabili madri e mogli, l'altra metà sono quelle che puoi insolentire perché non appartengono a nessun maschio. In nessuno spogliatoio, scrive Soloway, si commentano le gambe o il culo della moglie o della figlia o della madre d'un altro uomo. Frank Bruni è un editorialista del New York Times. Il suo articolo cominciava così: «Sono basito dai commenti di Trump: lo sono in quanto padre di nessuna figlia; ne sono offeso in quanto marito di nessuna moglie». È un sollievo che sulle scrivanie di Jill e Frank ci siano i miei stessi appunti: quindi non era una fissazione mia.