Più lo scontro sul referendum costituzionale s'infuoca, più mi convinco che sia un peccato che tutta questa energia politica e questo tempo spesi in tour propagandistici e sfide televisive non siano utilizzati per progetti più importanti. Fateci caso: viviamo mesi sospesi, nei quali la battaglia per un sì o per
un no ha non solo monopolizzato l'opinione pubblica, ma congelato ogni altro tipo di dibattito politico. Perfino la Legge di stabilità, ormai nella fase finale, sembra languire sullo sfondo. 

A prescindere da come si decida di votare, a me questo scontro infinito sul referendum pare soprattutto una grande occasione persa. Con la crescita economica a zero e una disoccupazione giovanile spaventosa – nel sud non lavora quasi un giovane su due – vorrei che nel mio Paese ci si accapigliasse su come e dove ridurre drasticamente il peso delle tasse, investire nella ricerca, avere una giustizia più veloce, tagliare gli sprechi e le spese improduttive. Per non parlare poi del sistema dell'accoglienza al collasso, dell'allarme terrorismo sempre alto e delle tante emergenze belliche che ci vedono coinvolti, dalla Libia all'Iraq. 

Problemi giganteschi che rischiano di lasciare l'Italia indietro, ruota di scorta fra le potenze occidentali. Ma i capi partito e i loro sottoposti, affetti dalla consueta miopia, si scannano sul voto del 4 dicembre 2016. Che non ci porterà, nell'un caso o nell'altro, più occupazione, sicurezza e legalità. Vista dalla trincea dell'italiano medio che si sbatte per conservare il lavoro e arrivare a fine mese, del piccolo imprenditore che prova a pagare le tasse e non licenziare o dell'insegnante malpagato di una scuola pubblica fatiscente, la sfida sì-no sembra soprattutto una resa dei conti, l'ennesima occasione sprecata. L'ultima prova di immaturità dei politici italiani.