C'è una frase che hanno detto tanti di quegli scrittori da rendere difficile attribuirla (chi avrà confessato l'inconfessabile prima che diventasse di moda ammetterlo?). La frase è:

Non mi basta avere successo, mi serve anche l'insuccesso di tutti i miei amici

Nessuna bugia – non «Ti trovo benissimo», neppure «Non ho mangiato niente tutto il giorno» – nessuna bugia è più bugiarda di «Sono contenta per il tuo successo come se fosse il mio». Non vale mai. Non se parli con tua sorella, con tuo marito, con l'amica di una vita. Se fa il tuo stesso mestiere, vuoi che sia più scarsa di te. Nessun bugiardo è più bugiardo dello scrittore che esulta per lo Strega dell'altro, del regista che tifa per l'Oscar del collega, della popstar che va ad applaudire un'altra popstar che riempie gli stadi.

A volte il bugiardo s'impegna a credere alle sue stesse bugie,povero, si convince d'essere davvero felice per il successo altrui: 
in genere ne seguono ulcere che ci vuole una vita a tamponare. Se dipingi acquarelli, incidi canzoni, scrivi film o romanzi o anche solo un blog, l'unico rapporto sano che tu possa avere con chi faccia il tuo stesso lavoro è di una sfumatura che va da «Maledetto, perché quest'idea non è venuta a me» a «Meno male che il tuo è andato male, così avanza pubblico per il mio».

La più bella serie televisiva dell'anno scorso, The Affairaveva un personaggio secondario per il quale desidero da un anno uno spin-off: il suocero. Il protagonista era un romanziere fallito che tradiva la moglie. Il suocero era un romanziere di gran successo (per fare le proporzioni: come se io avessi per suocera Sveva Casati Modignani). Il motore di tutto erano le sane pulsioni di odio e invidia e fallita emulazione del genero nei confronti del suocero. A un certo punto praticamente glielo diceva, alla moglie: ti ho tradito perché tuo padre vende più di me.

Giovani si diventa è uscito al cinema adesso (in omaggio due ore d'aria condizionata) e parla di noi: del rincoglionimento che coglie i quarantenni che figliano (e si fanno tatuare l'ecografia), e del figliare come ripiego a talenti professionali che a un certo punto ci si arrende a non avere. In più, contiene lo spin-off che volevo: il suocero è un documentarista famosissimo, mentre Ben Stiller (nella foto) sta lavorando a un documentario da dieci anni senza concludere niente. Dice che un certo filmato serve a mettere a disagio lo spettatore, e il suocero: «Non ero a disagio: ero annoiato». Lui pensa che glielo dica per invidia, e invece no: c'è un ventenne più bravo di lui, gli ruberà le lodi che lui pensa gli spettino. Perché, che facciamo acquarelli o canzoni o blog, pensiamo di essere faticosi e complessi e destinati a gloria postuma, mica semplicemente scarsi.

nessuna bugia è più bugiarda di «Sono contenta per il tuo successo come se fosse il mio»

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