Quando abbiamo cominciato ad annoiarci? Quando mia zia aveva l'età che ho io ora, trascorreva intere serate a fare le parole crociate. Aveva una pila di copie de La settimana enigmistica, ma non aveva un cellulare o una connessione a Internet: mentre cercava il 3 verticale, non controllava i messaggi, non rispondeva a un fidanzato, non leggeva le notizie, non metteva like a qualche foto in cui un'amica fosse venuta male. Faceva una cosa alla volta. Un concetto così straniante che, se ci penso, mi sale la stessa ansia che mi prende quando vedo la batteria del cellulare esaurirsi e so che non potrò ricaricarlo a breve.

Quando mio padre aveva l'età che ho io ora, un weekend il cuginetto settenne venne in campagna da noi. Non c'era la televisione, lui mugugnò che si annoiava e mio padre, col tono con cui si sarebbe rivolto a un proprio coetaneo, disse: «Leggi un libro». Mio padre non è mai stato sveglissimo: neanche allora i settenni viaggiavano con un romanzo nello zainetto, già allora si annoiavano; ma, per ragioni inspiegate, non si annoiavano gli adulti, o gli adolescenti: che cosa diavolo facevamo, quarantott'ore in una casa senza tv e senza Internet? Smettiamola di far finta di credere che prima della connessione permanente si facesse conversazione: ci annoiavamo così poco che non siamo mai arrivati a far conversazione coi genitori per disperazione. Adesso, con un fantastiliardo di stimoli, siamo così annoiati che ci serve un'emozione forte a settimana.

Ogni weekend ha bisogno della sua indignazione, per farci sentire vivi. Nell'ultimo mese siamo riusciti a indignarci perché la figlia di Eros Ramazzotti legge delle frasi fatte dal gobbo in un programma che nessuno ha mai visto; perché il capo del governo è andato a vedere una finale sportiva tra due italiane a New York; perché Bruno Vespa ha fatto una puntata su una famiglia delle cui vicende tutti parlavano da una settimana; e perché una diciottenne, in un concorso di bellezza, ha dato una risposta da diciottenne a una domanda fessa. Le hanno chiesto in che epoca le sarebbe piaciuto vivere, e quella ha detto 1942. Magari le piacciono i vestiti anni Quaranta, ma sapeva che dalle diciottenni in costume ai concorsi di bellezza si esige profondità. Quindi ha aggiunto che avrebbe voluto guardare la guerra senza partecipare.

Chissà se dopo la diretta qualche amica l'ha messaggiata:«Dovevi dire "Come Hemingway", ho visto su Google che faceva così». La dialettica si sviluppa col crollo senile delle cosce: a diciott'anni, la miss non ha avuto la prontezza di zittire la nostra indignazione ricordandoci che negli stessi giorni festeggiavamo la carriera di Francesco De Gregori, al cui «La ho visto su Google che faceva così». La dialettica si sviluppa col crollo senile delle cosce: a diciott'anni, la miss non ha avuto la prontezza di zittire la nostra indignazione ricordandoci che negli stessi giorni festeggiavamo la carriera di Francesco De Gregori, al cui «La guerra è bella anche se fa male» si era chiaramente ispirata.

Foto: Miss Italia