Non esistono le generazioni. L'ho scoperto qualche mese fa, trovandomi con coetanei che non erano mai stati a un concerto di Guccini e trasecolavano all'idea che non fossero già negli anni Ottanta "roba da vecchi". Ho spiegato a sguardi scettici che veramente erano pieni di ventenni, negli anni Ottanta come nei decenni successivi, finché non ha smesso; e che io a 16 anni conoscevo solo sedicenni che sapessero tutto Guccini a memoria, «Si vede che voi frequentavate licei diversi». E invece avrei dovuto solo dire: «E se anche fossero da vecchi? Voi siete vecchi (e anch'io non è che sia più un fiorellino)». Se non esistono madeleines condivise da un'intera generazioneper chi si è formato quando c'erano pochi canali in tv, figurati adesso: tra vent'anni sarà impossibile trovarne due che siano cresciuti con lo stesso cartone animato. Ma il tuo – di cartone animato, di disco, di ricordo d'infanzia – sarà sempre il più denso, la tua Madeleine sempre la più profumata, la tua determinazione a pucciarla di nuovo nel latte sempre più forte man mano che invecchi.

Non l'ho certo scoperto io: sulla nostalgia degli adulti per la loro adolescenza si sono fondati programmi televisivi (Anima mia) e cinematografie (da Sapore di mare a Notte prima degli esami). Ma me ne sono ricordata in questi giorni in cui, con la scusa di farmi i regali di Natale da sola, ho speso in cd una cifra che non spendevo da prima della morte della discografia, e l'ho fatto per riavere la me stessa quattordicenne – quella che limonava nello studio di papà sentendo The river, che Springsteen ha saggiamente ripubblicato in una megaedizione contando sui portafogli delle nostalgiche – e anche la me stessa diciottenne, che andava a sentire Guccini in concerto e non sapeva che da grande avrebbe dovuto accontentarsi di un cofanetto di cd.

Siccome Guccini non fa più concerti, alla presentazione milanese del suo cofanetto c'erano centinaia di persone che, senza che lui cantasse, hanno fatto tutto quel che avrebbero fatto a un concerto: la fila per vederlo, e i cori sulle canzoni. Squarciagolavano «Trionfi la giustizia proletaria» reggendo il cofanetto per il quale avevano appena pagato 125 euro, e io pensavo che non si può pretendere coerenza dalla platea d'un concerto, neanche se è un concerto in cui quello sul palco si limita a firmare autografi sbuffando.

Li guardavo, per lo più ventenni di un'altra generazione, e pensavo che sembravano quei bambini che nei centri commerciali vanno a farsi la foto con Babbo Natale. Un Babbo Natale che ha smesso di fare il suo lavoro, ma gli vuoi ancora bene per tutti i regali che ti ha portato finché gli andava di guidare la slitta – che, ora che siamo cresciute lo sappiamo, è un lavoro usurante.

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