Cara Theresa,

tre cose so di te. La prima è che non hai figli. Lo ha ricordato Andrea Leadson, quando ancora si considerava tua rivale, sottolineando come solo l'essere madri conferisca genuino interesse nel futuro di un paese (disgraziatamente due giorni dopo non ha più retto tanto coinvolgimento, e si è ritirata dalla competizione). La seconda è che sei così intelligente che puoi permetterti scarpe sceme: collezioni décolleté leopardate e, piuttosto che farti vedere con indosso un mocassino molle, ti cambi in macchina (la regina, sono sicura, apprezza moltissimo). La terza è che hai un caratteraccio. «Bloody difficult», si dice in inglese. Ma non mi pare una caratteristica sorprendente, per una che è diventata primo ministro dopo una selezione più simile alla trama di Highlander che alle dinamiche di democrazia rappresentativa.

Sei una risoluta signora conservatrice, insomma, che non pratica la bonarietà per favorire il consenso. Una che non ha mariti in bilico che scrivono lettere, o bambini da far insediare su scranni. Una che non vuole essere come noi, perché è un po' meglio, e non si capacita dell'interesse pubblico per i dettagli intimi: «Un tempo importava solo quello che facevi, l'impressione che davi». Eppure ti è sembrato doveroso, in un'intervista al Daily Mail, tranquillizzarci sul dolore inestinguibile della mancata maternità

Jennifer Anistonpinterest
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Mentre tu eri presa con gli scatoloni, il giorno prima del trasloco in Downing Street, Jennifer Aniston ha scritto sull'Huffington Post che non è incinta – ha solo mangiato troppo – ma piuttosto esasperata dall'ossessività con cui i giornali, da vent'anni, le misurano la pancia. 

Ci sono tre cose che devi sapere di Jennifer Aniston: ha reso famosa una messinpiega irriproducibile, è la santa protettrice delle mollate male – per una che poi di figli ne ha avuti sei – e difficilmente la fotografano se non vuole. E senz'altro ha qualche ragione, quando sostiene che lo zelo riproduttivo è ancora il metro con cui si misura il valore sociale di una donna. Ma poi scrive che sì, potrebbe ancora diventare madre «un giorno» – ha 47 anni, ma è come se non contasse – e un po' neutralizza l'efficacia della rivendicazione.

Nonostante siano sempre più frequenti gli studi che scombaciano figli e felicità, nessuna si è ancora emancipata abbastanza da confessare che in fondo è andata bene così. Anzi: meglio. Anche se non è stata una scelta. Non la prima, quantomeno. Le mie figlie sono in appalto da tre settimane: il ricongiungimento è imminente, la nostalgia conclamata, ma mi sono chiarissimi i privilegi che perderò. Il tempo, il silenzio, il posto migliore sul divano. La vertigine della piena concentrazione sui fatti miei. Tre settimane: una simulazione di realtà impossibile, un «se fosse» visceralmente impensabile. Perché sono madre, e certe cose non le posso capire. Raccontatemele.