Ultimamente penso spesso a Dacia Maraini. A quando, poco più di tre anni fa, nei cinema italiani uscì L'amore bugiardo, e lei lo stroncò spiegando di trovarlo arcaico e misogino. Smettete di leggere subito se siete di quelle che pensano le trame non cadano mai in prescrizione e non vogliono sapere i colpi di scena d'un romanzo di cinque anni prima (l'apprendimento della parola "spoiler" ha arrecato infiniti danni alla capacità degli esseri umani di fare conversazione). Nel romanzo di Gillian Flynn, e nel film che ne trasse Fincher, quel tonno di Nick viene arrestato perché ha sicuramente ucciso la moglie. Tutto torna: le tracce del sangue di lei, il diario in cui racconta che lui la maltrattava. Senonché Amy è una psicopatica che per anni ha fabbricato prove per poi sparire incastrando quel marito che detestava. Quando lo lessi mi sembrò un grande progresso per la causa femminile: finalmente potevamo essere stronze, bugiarde, criminali come gli uomini. Non che prima non si potesse, ma era bello che un romanzone popolare di quelli che compri in autogrill avesse per eroina una stronza senza redenzione, e nessuno si lamentasse. Fino a Dacia.

Voi che leggete sapete già quante candidature agli Oscar ha Il filo nascosto (nella foto d'apertura Daniel Day-Lewis e Vicky Krieps in una scena, ndr), che arriva al cinema a fine febbraio; io, che scrivo poco prima che le nomination vengano annunciate, immagino saranno tante (le nomination sono state annunciate il 23 gennaio 2018 e Il filo nascosto ne ha avute 6, ndr). Quello che sapete già è che è il film dopo il quale Daniel Day-Lewis si ritirerà (vogliamo crederci?); quello che forse non sapete ancora è che è un trattato su quanto siano carnefici le vittime. Proprio quando sei lì che compatisci la poverina innamorata dello stilista di genio - lui così umorale e arrogante, sprezzante e isterico; lei così devota - scopri che lei lo avvelena di nascosto per non lasciargli abbastanza forze per lasciarla. O almeno: così pare, ma sarà proprio come sembra? Spoiler: non lo è mai.

Una scena del film Il filo nascostopinterest
Una scena del film Il filo nascosto.

L'inglese ha il vantaggio d'essere una lingua senza generi: liar significa sia "bugiardo" sia "bugiarda". È sfruttando quest'ambiguità che è stato intitolato Liar (va in onda il giovedì su Nove). Lui e lei escono una sera, la mattina dopo lui le manda un messaggio entusiasta, "Che serata meravigliosa", e lei intanto è già andata dalla sorella e poi dalla polizia a dire che lui l'ha stuprata. Almeno, così le pare: non ricorda. Lui sostiene che lei era consenziente, l'ha pure mandato a prendere un preservativo in bagno. La divergenza di punti di vista non stupisce le spettatrici: abbiamo visto The affair, sappiamo che la memoria è il più inaffidabile dei marchingegni, che nessuna versione dei fatti è mai davvero oggettiva.

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Che cosa sono l'Alma del Filo nascosto e la Laura di Liar: vittime? Carnefici? Complici? Secondo me anche Dacia Maraini nel frattempo ci ha ripensato: comunque vada a finire la storia, è un progresso che ai personaggi femminili sia offerta almeno la stessa gamma di possibilità di quelli maschili. Che possano essere quelle che lasciano i calzini per terra, invece che per forza quelle che li raccolgono. Quelle che mentono sui crimini, invece che quelle che li subiscono. Quelle così disposte a tutto che non sai dire se sian buone o cattive, ma di certo sono interessanti. Di eroine non memorabili è piena la storia del cinema, ma Sharon Stone in Basic instinct ce la ricordiamo tutte.

Una scena della serie tv Liarpinterest
Una scena della serie tv Liar - L\'amore bugiardo, con Joanne Froggatt e Ioan Gruffudd.