Come possiamo pretendere che le donne comuni si ribellino ai violenti e ai molestatori se nemmeno la prima fila delle "predestinate alla celebrità", con buoni atout e autostima di ferro, è in grado di difendersi? Il caso Harvey Weinstein - la vicenda del produttore sporcaccione dal cui divano sono passate in tante - ci ha insegnato varie cose.

Primo: che certe leggende metropolitane sono vere e dure a morire

Il favore sessuale in cambio di ruoli e visibilità è una tassa da pagare in certi ambienti, e non solo per scialbe soubrettine con tanta ambizione e poco talento. Inutile chiedersi come mai un intoccabile dell'industria del cinema avesse bisogno di molestare le aspiranti star, quando aveva soldi e prestigio per pagarsi qualsiasi sfizio. Vuoi mettere il piacere che deriva dall'esercizio del potere? Avere in pugno le proprie prede, piegarle ai propri capricci, assistendo in presa diretta al più esaltante dei copioni – il diniego iniziale che si scioglie lentamente in una resa – è una merce che non ha prezzo per l'appetito di certi Ego.

Secondo: che tutte le donne nascono prede, anche quando sembrano invincibili

Delle varie confessioni fatte dalle attrici "provinate" da Harvey, due mi hanno colpito in modo particolare: quella di Asia Argento, eroina delle "ragazze contro" della mia generazione, e quella di Cara Delevingne, paladina delle fluide e cazzutissime di oggi. La prima ha ceduto, 21enne, alle avances dell'orrido marpione, dimostrando una fragilità che mi ha fatto tenerezza, ricordandomi certe paralisi sgomente che ci prendevano in adolescenza quando un ragazzo troppo sveglio allungava le mani o il bavoso di turno ci faceva un complimento sporco per testare la sua virilità, facendoci irrigidire come furetti davanti all'orso, annusando il pericolo, incapaci di reagire. La seconda ha raccontato di quando lui, in una stanza d'albergo, le chiese di baciare un'altra donna, e lei terrorizzata iniziò a cantare per togliersi d'impaccio, sforzandosi di dare al siparietto una parvenza di normalità. Malgrado il suo rifiuto, ottenne la parte, ma ancora oggi si vergogna di quel film. La vergogna è il tratto tipico delle vittime, condannate a viversi in eterno come complici. Non perché siano sciocche, ma perché questo abbiamo incamerato fin da piccole: se un predatore ci sbrana non è colpa sua, ma nostra che ce la siamo cercata.

Harvey Weinstein con Asia Argentopinterest
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Harvey Weinstein con Asia Argento nel 2004.

Terzo: che parlare non è facile

Se non ce la fa Cara Delevingne, come possono farcela Paola, Daniela, Giulia, Francesca e tutte le vittime invisibili che subiscono violenze tutti i giorni? Preferiscono tacere piuttosto che non essere credute, o peggio, scambiate per ragazze facili. (A proposito: in questa brutta storia hollywoodiana, c'è chi ha provato a denunciare l'orco, ma è stata scoraggiata da avvocati e "uomini di legge" che quel sistema lo conoscevano bene e che non hanno fatto niente perché lui era troppo intrecciato col potere. Riportate tutto questo su piccola scala. Scardinare tutti i sistemi di potere, anche solo familiari, è una lotta titanica).

Quarto: che vale sempre la regola del gregge

Se parla uno parlano tutti. Perché la tua voce diventa più forte. Sarebbe utile applicare il format a "chi sa". Il "sistema Weinstein" è vasto, e non riguarda solo Hollywood.

Quinto: che le donne sono spesso le peggiori nemiche delle donne

I giudizi più feroci e maschilisti contro le celeb tacciate di outing a scoppio ritardato sono arrivati sui social proprio dalle femmine. Le femmine sono quasi sempre, o troppo spesso, in malafede quando valutano le altre: soprattutto quando le altre volano alto. Il commento più frequente su chi sfiora il soffitto di cristallo – siano esse ministre, superstar, direttore o dirigenti – è: "Chissà a chi l'ha data". Una cosa molto triste, soprattutto in tempi di strombazzate women's marches.

Sesto: che il giornalismo d'inchiesta esiste ancora e combatte insieme a noi

Le malefatte di Harvey sono state smascherate da un'accurata indagine del New York Times, poi ripresa e approfondita con nuove testimonianze da Ronan Farrow, figlio di Mia e Woody Allen, per il New Yorker. Non c'è neanche l'attenuante del probabile fake. È la stampa, bellezza: tutto vero. Purtroppo.

Maria Elena Viola, direttore di Gioia! Scrivetemi a: direttoregioia@hearst.it