Io volevo essere magra. L'ho sempre voluto, dagli otto anni in su. Lo volevo quando la mamma mi comprava i kilt lunghi con la spilla e mi sentivo antica e fuori moda, mentre le altre s'infilavano certi pantaloni di velluto a coste larghe con il fondo scampanato e il collo alto di nylon attillatissimo. Lo volevo quando andavo dal pediatra e mi pesava con quell'aria sconsolata che sanno assumere solo certi medici talebani davanti a bambini con deficit d'autostima di fronte a una bilancia senza cuore. Lo volevo fortissimamente tutte le volte che mi arrampicavo arrancando sul quadro svedese, snervata dalle vertigini e dal culone troppo grande per il perimetro della scacchiera; o che mi lanciavo goffamente su un cavallo con l'ansia di mancarlo benché fosse fermo e finto, in palestra; o che mi toccava fare la corsa campestre, il più insopportabile e fantozziano degli «stress test» per un'adolescente sovrappeso che si vergogna di farsi vedere dai compagni mentre corre a prendere l'autobus, figurarsi nel fango in calzoncini e pettorina.

Per la dieta ci vuole impegno e tanta pazienza

Volevo essere magra più di tutto: quando i ragazzi al mare scherzavano con me e limonavano con le altre; quando cominciarono a circolare i fuseaux; quando andai alla mia prima settimana bianca e non c'era verso di sentirmi un po' carina in quell'armatura di imbottitura e Moon Boot, mentre ragazze in tute spaziali (nell'accezione fashionista del termine) sfrecciavano agili su piste e skilift. L'ho voluto ogni volta che ho iniziato una dieta, mettendoci impegno e dedizione. Ma anche pazienza. Ce ne vuole davvero tanta per ricominciare da zero dopo ogni fallimento e credere fermamente che prima o poi ce la si farà a diventare magre, contro ogni pronostico e contro ogni principio della genetica. Ora non so più se lo voglio, ma penso di sì. Anche se mi ci applico di meno e mi dico che vado bene così. Almeno il 70 per cento delle donne che conosco, facendo una statistica a spanne, desidera essere più magra di quello che è, pur non essendo realmente sovrappeso, o non così tanto. Si controlla col cibo, non mangia, oppure mangia e si pente, avviluppata in un perverso circolo vizioso di sensi di colpa e contrizione. A 20 anni come a 50.

Abbiamo assimilato così a fondo certi diktat da scambiare per scelta l'obbedienza cieca a certi valori estetici

Quando il bisogno di piacere sconfina nella patologia

Non c'è niente di male a voler essere magre. Ma c'è una bella differenza tra la ricerca autoironica e «gioiosa» del proprio peso forma (nei limiti della gioiosità concessa da una dieta no-carb) e la fissazione per il corpo esile a tutti i costi. Molte donne sono così «schiacciate» dal bisogno di essere magre da barattare il proprio benessere psicofisico con un'immagine di sé «accettabile» (per sé? per gli altri?) e non negoziabile. Donne che non hanno perso la salute per diventare magre, come avviene in quasi tutte le discese agli inferi del disturbo alimentare, ma che convivendo già con una malattia (fisica o psichica), hanno scelto di non curarsi pur di non ingrassare. Anche a costo di rischiare la vita. Possono sembrare storie estreme, ma non lo sono. Perché pur sconfinando nel territorio oscuro della patologia, raccontano di noi, del nostro bisogno di piacere, dei diktat che abbiamo assimilato così a fondo da scambiare per scelta l'obbedienza cieca a certi valori estetici. Conformarci ad essi ci fa sentire bene, anche se bene non stiamo per niente.

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Tutti i tabù della bellezza da smontare

Ma davvero c'è un solo modo per essere belle? Domanda necessaria quando il numero di Gioia! ora in edicola ha uno Speciale beauty, che si affida alle solite modelle per raccontare creme, trattamenti, make up, ma che tenta anche di smontare qualche tabù. Quello del peso, quello dell'età (la «meglio gioventù» è over 60), quello del fascino usa-e-getta (non bastano due belle gambe per restare sull'onda, come ci ha raccontato la top Amber Valletta). La risposta alla domanda comunque è no. Adesso andate a spiegarlo alle vostre amiche.

Maria Elena Viola, direttore di Gioia! Scrivetemi a: direttoregioia@hearst.it