Sono imbattibile a perdere le cose. Perdo di continuo gli occhiali, le chiavi, il cellulare, gli orecchini, gli accendini, le penne - soprattutto quelle degli altri - gli impaginati da leggere, gli appunti da conservare, i numeri di telefono, i rossetti lasciati nelle borse, anche i treni a volte, ma lì non c'entra la distrazione c'entra la puntualità, che non è tanto il mio forte. Una cosa che invece non so proprio perdere è il tempo. Il che potrebbe sembrare una cosa buona e giusta, invece è una iattura.
Mi sono accorta di questo handicap atroce il giorno in cui - avevo circa 25 anni - vidi una ragazza più o meno mia coetanea che sfrecciava felice con dei rollerblade sul marciapiede sotto casa mia. E mi trovai a pensare: che fortunata, pattina e basta. Su quel "e basta" germoglia e prolifera tutta la mia nevrosi. Fare una cosa così tanto per fare, per divertirsi e basta, senza obiettivi e senza benefici, mi è sempre sembrato tempo "sprecato". Perché anche gli hobby e i passatempi devono avere nella mia testa bacata una parvenza di utilità. In pratica il piacere deve per forza accompagnarsi al dovere, andarci a braccetto, essere "costruttivo". Le ore libere si possono dunque passare a leggere, per nutrire la mente e lo spirito, fare attività fisica, col solo scopo di dimagrire, guardare film, possibilmente belli e d'autore, per rafforzare il curriculum da cinefila, e via discorrendo. Un Io categorico smista e dirige.
Tant'è che a volte quando mi sdraio a sfogliare un giornale, mi sale un leggero senso di nausea trattandosi in realtà di rassegna stampa maldestramente camuffata da svago.
Ora, per una che già parte con una psicosi di fondo, immaginate che svolta l'avvento di internet e WhatsApp. Poter riempire anche i cosiddetti tempi morti - l'attesa dal lattaio, la sosta al semaforo, i 5 o 10 minuti di viaggio sulla metro - per ottimizzare e "sbrigare". Il mondo per me si divide tra quelli che fanno (al limite del burnout) e quelli che "non c'hanno niente da fare". Le mamme trafelate e quelle che comprano i libri per settembre mesi prima, pre-iscrivono i figli ai corsi, sanno tutto sui campus estivi già a dicembre, promuovono petizioni sulle polpette al pesce e fanno shopping sciallate, misurando di tutto e stressando i commessi (le altre si stressano da sole, provandosi i vestiti sopra quelli che hanno perché in camerino c'è troppa fila ed è già tardi, devono andare: in genere sono le migliori, nel dubbio comprano, comprano sempre, che poi chissà quando ci tornano là). Inutile dire che le due categorie si detestano.
Si perdono anche un sacco di belle cose: la libertà, la memoria, i desideri, il sogno. Perché se non hai più spazi vuoti, attimi di disobbedienza volontaria alla tirannide degli stimoli e della risposta pronta, il canto delle sirene della messaggistica, quand'è che trovi il tempo per osservare le persone, acchiappare pensieri a caso, ripescare ricordi, commuoverti senza motivo, elaborare idee geniali o fantasie bestiali, riflettere, ragionare, ascoltare? Nemmeno i bambini lo sanno più gestire il vuoto. Loro che erano campioni dell'ozio creativo. Se vai in un posto senza wi-fi ti chiedono "che faccio?". Come se fosse colpa tua quell'assenza di rete (non solo digitale). Come se tutto quel tempo che gli si srotola davanti senza parapetto, li facesse tremare. Guarda i legnetti rispondiamo, guarda le formiche… Noi ci si stava ore a guardare le formiche incolonnate con una briciola sul dorso, a fare la lotta con i rami abbandonati sulla spiaggia, a fare niente. Quest'anno lo impongo come compito delle vacanze alle mie figlie, l'ozio. Senza predicozzi e senza pose da madre saputella, ché in questo campo la più somara sono io.
Maria Elena Viola, direttore di Gioia! Scrivetemi a: direttoregioia@hearst.it