In un vecchio film di Woody Allen, Interiors, Diane Keaton fa la scrittrice d'insuccesso figlia di famiglia altoborghese. Quando il film è uscito avevo sei anni, e non so quanti decenni siano che non lo rivedo, tuttavia ricordo ancora il litigio durante il quale una delle sorelle le rinfaccia: «Papà ti mantiene perché tu possa guadagnarti l'eternità scrivendo». Quell'istantanea lì era al tempo stesso ambizione e monito: sarò quella così intellettuale da non potersi occupare delle cose materiali; sarò quella così mitomane da credere che alle bollette debba pensarci qualcun altro mentre io coltivo la mia vita interiore.

Adesso che ho l'età per essere io papà, vedo lo stesso scivoloso confine tra ambizione e mitomania nei figli più grandi delle mie amiche. Quelle (poche) che sono riuscite a mandarli a calci via di casa mi raccontano di universitari che elemosinano ricariche per il cellulare e paghette extra perché è arrivata una bolletta e loro mai si sarebbero aspettati che la società pretendesse da loro soldi per l'elettricità: cos'abbiamo un governo di sinistra a fare, se non è gratis? Ho la tentazione di rispondere che potrebbe essere segno di grandezza: nella sua autobiografia, Bruce Springsteen racconta d'aver suonato per anni solo per pagare i debiti col fisco, giacché, quando aveva iniziato, proprio non aveva idea esistessero un lordo, un netto, delle tasse, e insomma per anni non aveva pagato niente. Ma poi penso che per carità, ci manca solo che alimenti la megalomania della prole altrui.

Invece, vorrei che leggessero di quella mamma dell'Ontario che ha presentato il conto al figlio 23enne, che da un anno vive con lei assieme alla fidanzata, ed era stato sgarbato. C'è dentro tutto, dal dentista a una tassa speciale: «imposta sull'essere uno stronzo ingrato», 1.000 dollari. Il ragazzo ha messo online il conto. Dice che ora ha capito, non aveva idea dei costi, sarà più mansueto. Secondo me, ha capito solo che ormai anche sulle sgridate si possono prendere i like.