Per fare la moglie ci vuole una certa vocazione. Per farlo di mestiere, intendo. Moglie e basta. Un tempo era una professione molto ambita. L'unica possibile, a dire il vero, fino a non molti decenni fa, quando restare zitella era persino più avvilente di quanto sia oggi restare senza un contratto di lavoro. Anche chi coraggiosamente studiava e mirava ad altro, poi in qualche modo si ritrovava là, a spadellare e tirar su figli, a dare ordini alle domestiche e gestire la vita di famiglia con carica di ad, amministratore domestico, come fosse un'azienda. Chiudendo nel cassetto «pezzi di carta» e sogni spiegazzati. Solo poche audaci tenacemente agguantavano destini diversi, non senza esser tacciate di qualche stramberia. Bisogna essere davvero matte e strane per mettersi a faticare potendo avere un uomo che ti mantiene gratis, scandiva sottovoce il pensiero dominante.

Ho sempre trovato seccante la dipendenza economica

Poi c'è stato il '68, Melanie Griffith ci ha insegnato poco più avanti che si può fare carriera anche partendo dal basso e senza fare sconcerie. E le ragazze hanno iniziato a studiare, a studiare di brutto come sempre hanno fatto, però questa volta senza farsi fregare. Bello il sapere sì, ma non solo per rammendare calzini e fare bella conversazione, anche per costruirsi futuri all'altezza e senza recinzioni, mettere a frutto talenti, guadagnarsi conti bancari autonomi e non vivere tutta la vita d'argent de poche, benché milionari. Ho sempre trovato seccante dover dipendere economicamente da qualcuno. L'idea di dar conto a chicchessia delle mie spese oculate o dissennate lo trovo lesivo del mio diritto di cedere al demone della tasca bucata come e quando mi pare.

Per fare «anche» le mogli a qualcosa bisogna rinunciare

Dunque a fare le mogli «con contratto d'esclusiva» sono rimaste in poche: quelle per scelta - le dolci metà di importanti politici e uomini d'affari, geni visionari della Silicon Valley, rapper miliardari, star, luminari e grandi criminali - quelle che decidono di fare un passo indietro, pentendosi a volte; quelle di ritorno, che dopo anni passati a sgobbare hanno pensato che non era poi male tornare a fare «le compagne di una vita» con conto cointestato; e quelle per necessità, figlie della crisi o di una certa mentalità, ma più della prima, decisamente. Tutte le altre, potendo, lavorano. Ma è su quel potendo che s'inceppa la questione. Perché per fare «anche» le mogli, e le mamme e tutto quel che ne consegue, a qualche cosa hanno dovuto rinunciare. Alla carriera, al posto dei sogni, al full time… Hanno mollato al primo figlio, hanno frenato all'ennesima trasferta, hanno riformattato le ambizioni quando la sproporzione tra vantaggi e costi della conciliazione ha comportato un prezzo troppo alto da pagare.

Le donne ancora si sacrificano per figli e marito

Per questo la sentenza della Corte di Cassazione sull'assegno di mantenimento «senza privilegi», cioè valutato sulla base dell'autosufficienza economica e non sul congelamento del tenore di vita pre-divorzio, suscita qualche perplessità. Perché l'impianto teorico è giusto e coerente con l'evoluzione della società, ma non tiene conto della realtà italiana. Dove le donne ancora si sacrificano per il bene dei figli e le ambizioni del marito. Dove ridimensionano - non sempre, ma spesso - aspirazioni e aspettative per fare spazio a quelle altrui. Dove, in sostanza, si trovano al palo se, dopo 20 anni di onorata carriera coniugale, vengono mollate e non hanno più né l'età né gli atout per rimettersi in gioco. E dunque, benché io non abbia alcuna simpatia per le ex mogli che spremono i mariti per riscattare tramite bonifico il trauma dell'addio, ho a cuore tutte le altre, brava gente, che devono con uno stipendio basico e un assegno minimo (quello per i figli) tirare avanti da sole la baracca. Perché questo accade. E eroicamente immolarsi sull'altare della parità. Principio sacrosanto, che però a tutt'oggi richiede sempre un qualche scotto a noi ragazze, lasciando agli uomini l'onore del cambio pannolini e del parchetto giochi, con grande spiegamento di ole e ooooh d'ammirazione in sottofondo.