Ventitré anni sono un terzo di una vita. Se ne hai già attraversato più di un quarto, te ne resta meno della metà. Alexander Boettcher, 31 anni, il mostro dell'acido, li passerà in carcere. Quando uscirà avrà superato i 50 e mi chiedo che persona sarà. Se avrà ancora quella faccia da bambolotto cattivo, gli occhi inespressivi, la mascella volitiva dei bellocci di certi B movie un po' datati, il cuore incassato sotto i muscoli come un bullone qualsiasi, una vite, un perno d'acciaio che serve a tenere in moto la macchina, niente di più, nessuna emozione, nessun pentimento, niente. Alla sentenza dell'XI sezione penale del Tribunale di Milano c'era anche Stefano Savi, sfigurato per sbaglio sotto casa, la sera del 2 novembre 2014, dal broker "vendicatore" e la fidanzata Martina Levato. La condanna a 23 anni del suo assalitore dovrebbe risarcirlo. «Giustizia è fatta. Mi sento sollevato». Sollevato, ha detto, non soddisfatto o felice o sereno. Perché quelle parole non riesce più a usarle. 

Ventitré anni di reclusione sono tanti. Ma una vita mutilata per sempre, di più. Ci vuole una forza incredibile per riprenderla in mano e riscriverla, rimetterla sui binari, trovare dentro di sé le risorse per non deragliare. Ma anche per prendere dimestichezza con una nuova quotidianità e cercare di definirla normale. Stefano si è sottoposto fino a oggi a 16 interventi. Pietro Barbini, aggredito dall'ex compagna di liceo e dal suo amante la sera del 28 dicembre 2014, ha imparato a vivere come una routine le cure post operatorie – dalle creme ai massaggi, alla maschera cicatrizzante che lo tiene immobilizzato per ore – senza rinunciare ai suoi sogni. Il 5 maggio si laureerà a Boston, dove spera di andare a vivere. Aveva un viso bellissimo, prima dell'aggressione, da bravo ragazzo. Ma non ha permesso alla cicatrice che lo attraversa da parte a parte (e per cui Boettcher è stato già condannato a 14 anni) di rovinargli la vita. Anzi, in questi mesi ha riscoperto il rapporto col padre, che non lo molla mai. E ora che le conseguenze dell'ustione sono meno invalidanti, e si sta attenuando il bisogno di nascondersi, sta ridiventando bello. Bello in un modo nuovo.

«Che apra la porta di casa e si mostri a tutti a testa alta. Perché è bellissimo», ha detto il suo papà. Gherardo Barbini ha vissuto di dolore e speranza in questi mesi, cercando di mettere insieme i pezzi di una storia senza senso. Poi il senso l'ha trovato dedicando il suo tempo a una onlus che raccoglie fondi per tutti gli ustionati che non possono permettersi le cure (si chiama ALMauST ed è stata fondata dal primario del Niguarda). Potevano perdersi Pietro e Gherardo, finirci a gambe e braccia legate dentro quello strazio senza forma né nome, come in un lago nero, invece si sono trovati. E si sono guadagnati il lieto fine. Ci stanno provando.