Cara Kristen,

non devi sorridere per forza.

Non si intona neanche al tuo nuovo taglio di capelli: quel rasato biondo platino che sta bene soltanto alle molto sventole molto giovani, preferibilmente occhiazzurrate. Se volevi sembrare più sbarazzina – o che so: addirittura accessibile – certo non è questo il modo. Ma francamente dubito che la nostra simpatia sia una tua preoccupazione.

Sì, c'è la storia del coming out. La sessualità fluida, il gender liquido, il fatto che in questo periodo ti piacciono le ragazze, e far sapere a tutti quanto ti piacciono le ragazze. «Ho capito che la mia vita privata riguarda un sacco di persone, non solo me», hai detto al Sunday Times, «E rinunciare a un po' della mia privacy mi dà l'opportunità di far star meglio qualcun altro. Se non mi fosse sembrato rilevante avrei continuato a farmi i fatti miei, ma non potrei neanche andare in giro mano nella mano: mi seguono dappertutto». Pure se somiglia a una dichiarazione politica – tutto serve – principalmente significa: non rompetemi più.

Kristen Stewart, famosa per un certo approccio annoiato ai red carpet, sostiene di essere timidapinterest
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Dopotutto, a te essere popolare non è mai piaciuto. La chiami timidezza, ma non è esatto. A te la gente non fa paura: a te la gente fa ribrezzo. È proprio una diffidenza fisica. Un red carpet per te deve essere come per me trovarmi in ascensore con la signora del quinto piano e i suoi tre cani: non so dove mettermi, cosa guardare, di che parlare. E non si arriva mai.

Non puoi saperlo, ché a quei tempi facevi la bambina prodigio a Los Angeles, ma questo disturbo si chiama «sindrome dell'aborigeno», da un monologo di Corrado Guzzanti – non sai che ti perdi – che per esaltare le potenzialità di internet magnificava il numero enorme di informazioni che avremmo potuto veicolare «in un microsecondo, mettiamo caso a un aborigeno, dalla parte opposta del pianeta. Ma il problema è: "Aborigeno: ma io e te, che cazzo se dovemo di'?"».

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Ecco: il mondo è il tuo aborigeno, Kristen. Siamo tipi antisociali, non ci importa mai di niente, e per strada camminiamo con le cuffie nelle orecchie anche senza musica, per scoraggiare l'approccio. I nostri telefoni non hanno suoneria: richiameremo (forse). Pur di non pranzare coi colleghi, non pranziamo: il digiuno è più tollerabile del convenevole. Privilegiamo tiepidi rapporti con creature versate nell'arte della chiacchiera al solo scopo di usarle come scudi umani in società. Ciò nonostante, la nostra vita mondana è costellata di rimpianti: si stava meglio a casa. Chissà cosa ci troveranno, tutti gli altri, da sorridere.