Può capitare che nel mezzo di una riunione una guardi l'orologio impaziente, perché «s'è fatta una certa» e non è che uno può sempre devolvere la pausa pranzo al capo, ancorché femmina e sensibile a certi temi. Non è questione di succhi gastrici, ma di cheratina. Il parrucchiere aspetta fino alle due. Basta dirlo: liberi tutti. Un coiffeur arrabbiato è molto peggio di un direttore arrabbiato, ha per le mani i nostri capelli.

Si lavora, si ride, si vive

Può capitare che una arrivi tardi perché il bambino ha vomitato o la tata ha dato forfait o l'ex marito non si è presentato o i nonni sono scappati – prima o poi doveva succedere – ché tanto in qualche modo te la cavi, no? Sei così brava. Può succedere che volino grida e insulti e male parole e che poi tutto finisca in caciara davanti a un paio di scarpe da urlo o l'ennesima foto di Obama, che in un ufficio ad alto tasso di estrogeni funziona meglio del Valium. Può capitare che non si sia sempre di buon umore, che ci si senta stanche e stressate, con tutte quelle cose da tenere insieme – la testa costipata di robe da fare - ma poi alla fine, tutto si fa. Si lavora, si ride, si vive. Armandosi di passione e volontà, senza farlo pesare. Dare per dare, non per ricevere. È questa la grandezza delle donne. E il fianco scoperto su cui si fanno fregare.

L'allegro caos degli ambienti femminili

Perché le leggi che regolano il mondo non sono state pensate per loro. E l'entusiasmo non fa curriculum. Nemmeno la resistenza alla fatica, l'abilità nel trovare soluzioni, scartare l'ostacolo, organizzare, incassare, ripartire. E fa niente se il pupo s'ammala esattamente il giorno in cui «ti prego, no», e fa niente se tre giorni su cinque si arriva trafelate o con l'aria colpevole perché si dovrebbe essere anche da un'altra parte nel frattempo (il saggio, il dentista, l'omino del gas), con la medesima urgenza, senza alcun margine di priorità. È questo allegro caos, che sempre regola gli ambienti femminili, a rendermi felice di trovarmici in mezzo. Un universo a sé dove vigono le deroghe alle regole per far entrare la vita, dove gli orari sono spanati ma tutto funziona, dove si litiga e si ride ma c'è sempre una tisana detox per far tornare la pace.

A chi dedico l'8 marzo?

Amo le donne. Amo quelle che incontro in metro, ancora capaci di cedere il posto o di aiutarti col passeggino, quelle che si scambiano la crema in palestra mentre soppesano i rotolini, le ragazzine fuori da scuola che si muovono per multipli di tre, tenendosi per mano e ridendo sguaiate, le mamme e le figlie nei negozi del centro complici e litigiose mentre si offrono il caffè. Amo il vociare scomposto della mia redazione: 90 per cento di quote rosa dure e pure. A loro dedico il prossimo 8 marzo, con affetto e gratitudine. Ma lo dedico anche a quelle che non hanno la fortuna di sapere che forti sono e quanto valgono. E a quelle che lo sanno, ma non basta. Le schiave moderne dello sfruttamento sul lavoro, le fanciulle libere e belle trasformate in oggetti sessuali da dare in pasto al Web, le mamme discriminate, le minorenni bullizzate perché non sono abbastanza magre o retwittate, le over qualcosa che nessuno guarda più, le vittime, chiunque sia il carnefice, le stronze, che sotto sotto non lo sono mai. Quelle che ne fanno troppe e quelle che invece non gli fanno fare niente. Le indifendibili e quelle che non hanno bisogno di essere difese, e sbuffano: ma stiamo ancora a festeggiare l'8 marzo? Sì, purtroppo. E tanti auguri a tutte.

Maria Elena Viola, direttore di Gioia! Scrivetele a: direttoregioia@hearst.it