Entro il 2042 Bill Gates potrebbe diventare il primo trilionario della storia. Lo dice Oxfam partendo da una stima fatta sul suo patrimonio, cresciuto in 10 anni di 75 miliardi di dollari. Quindi non solo il fondatore di Microsoft è in cima alla lista degli 8 uomini più benestanti del pianeta (quell'1 per cento che detiene un capitale superiore al restante 99 per cento), ma si appresta a entrare nel Guinness dei primati. Io non so neanche quanti zeri ha un trilione, mai stata forte con i numeri. Ma non occorre essere un genio per capire che questa sproporzione tra chi sta molto bene e chi sta male, è il sintomo di qualcosa che non va. Una vite spanata, un meccanismo rotto che non si può riparare con la beneficenza – ancorché lodevole e sacrosanta – dei pochi happy few col cuore grande e il portafoglio pieno. Ci vuole un'idea.

Picchi di ricchezza e povertà

Di questo hanno parlato i grandi della terra a Davos all'ultimo World Economic Forum, capendo finalmente che la disuguaglianza è la prima emergenza da cui partire per rimettere in moto l'economia. Di questo dovremmo essere consapevoli tutti. Perché nessuno è immune dagli effetti di un mercato che ormai da molto tempo non funziona più, che non produce più benessere comune, ma picchi di ricchezza e povertà. E crolli catastrofici e improvvisi. C'è chi lavora troppo e chi non batte chiodo. Chi un giorno è a capo di un'azienda e il giorno dopo non esiste più, perdendo col lavoro tutto: stipendio, futuro, dignità. E spesso la voglia di combattere, perché a restare parcheggiati troppo a lungo, come un'auto di lusso che a un certo punto non serve più, si fa fatica poi a ricarburare.

Fashion system e guardaroba firmati

La settimana scorsa abbiamo raccontato in una news la «svolta rap» di Chiara Ferragni, influencer talentuosa e innamorata, che in un video si prendeva gioco del fidanzato Fedez, apostrofandolo con un «cosa vuoi tu che vesti all'Ovs». La battuta non è piaciuta alle nostre lettrici, che ci hanno scritto numerose per dirci che quelle parole non offendevano lui (alla regia col fedele Rovazzi), ma tutti. Non è piaciuta, a dire il vero, neppure a me, che pure l'ho ospitata sul giornale. Perché penso che la realtà non sia fatta di Chiare Ferragni, che vivono di fashion system e guardaroba firmati, ma di gente «normale» – studenti, imprenditori, tassisti, operai, insegnanti, dentisti, avvocati, tabaccai – che si vestono come gli pare, che spendono, non spendono, riciclano, regalano. Oppure fanno come me, che quando inizia la «grande caccia» per i saldi, affetta da compulsione patologica, svaligio tutto, gli store low cost e le boutique fighette – tanto per non fare torto a nessuno – seguendo nello shopping una parola guida: "purché s'indossi".

Si può essere eleganti col vestitino da 60 euro

Questa è l'Italia, questi siamo noi, in bilico tra desideri e possibilità, che vestiamo (anche) Ovs e detestiamo le etichette. Avendo nel frattempo imparato dalla moda, da certe illuminanti testimonial (it girl, first lady, le più stilose tra le superstar, ma anche le redattrici di tanti femminili) che si può essere eleganti e giusti e cool anche col vestitino da 60 euro, magari abbinato alla borsetta di Chanel. E non è un caso che in questo numero ci abbiamo messo tutto: l'haute couture di Parigi e il principe dei basic democratici, il jeans. Per dimostrare che è lecito sognare in grande e poi decidere di vestirsi facile, senza sentirsi out. Che poi, adesso che nella moda vale tutto, out è una parola così out.