Barack Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti lascia la Casa Bianca. Ha coltivato il sogno di un'America più giusta e tollerante, uguale e disarmata. E anche se il sogno non è diventato realtà, ci lascia un discorso pubblico limpido e potente: al suo confronto, quello di Donald Trump suona elementare e minaccioso.

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Barack Obama resterà amato per coerenza e condotta morale. Non è stato toccato da scandali né conflitti d'interesse, non ha ceduto alle ostentazioni del potere. È stato un presidente colto, forse eccessivamente freddo e distaccato, immensamente elegante. Fra i suoi successi, aver portato l'America fuori dalla recessione economica quando sembrava impossibile, aver vinto la battaglia sulle unioni gay, riaperto le relazioni con Cuba, siglato un accordo storico con l'Iran, concluso la caccia a Bin Laden. Il sogno di una società più equa e post razziale si è invece infranto sulle secche dell'odio metropolitano tra bianchi e neri nell'America povera, alimentato da un mercato selvaggio delle armi che il presidente uscente ha tentato inutilmente di ridurre. Quanto alla sanità gratuita per gli indigenti, da lui introdotta dopo una battaglia parlamentare estenuante, è stata pagata troppo cara dalla classe media.

A volte la coerenza lo ha portato a sbagliare. Aveva promesso fin dal 2008 il ritiro degli Usa dall'Iraq. Ma quel ritiro, completato nel 2011, ha avuto l'effetto di far dilagare l'Isis, esplodere il conflitto fra sciiti e sunniti, aprire le porte a Putin in Medio Oriente. Ne ha fatti di errori, Barack Obama. Ma ora che arriva Trump, il suo negativo, il suo opposto, c'è più che mai bisogno del suo american dream moderno e inclusivo. «La nostra democrazia è minacciata ogni volta che la diamo per scontata. Tutti noi, a prescindere dal nostro partito, dovremmo darci da fare per ricostruire le istituzioni democratiche», ha detto nel suo bellissimo ultimo discorso a Chicago. C'è un indizio e una speranza: che Obama resti in campo. Contro il peggior presidente che l'America potesse inventarsi.