Dov'è? Dove l'ho lasciato? Ho passato tutta la sera e parte della notte e le prime ore del mattino (una domanda conficcata come un chiodo nel cervello prima che la sveglia suonasse) a chiedermi che fine avesse fatto il mio computer. L'avevo portato in redazione per risolvere un problema tecnico, ripetendo a me stessa come una mantra di ricordarmi di metterlo in borsa a fine giornata, di non lasciarlo in ufficio, e invece ecco, non c'è più. Cosa ho fatto ieri? Cosa ho fatto prima di spegnere la luce della mia stanza, salutare i pochi rimasti alle scrivanie, rimettermi in macchina? Avevo la shopping col portatile quando sono scesa in garage? E come l'ho aperto il portone di casa? Avevo le mani occupate, le spalle cariche come al solito di cose? Quali cose? I giornali, la piccola spesa del mattino… Stavo scrivendo un messaggio mi pare, poi ha suonato il telefono… me lo ricordo perché non sapevo come tenerlo all'orecchio. Ecco questo me lo ricordo, solo questo. E il mio computer dov'era? Buio. Vado avanti e indietro sgranando la pellicola della mia giornata – forward rewind – ma niente, il nero è fittissimo.

Avrei potuto essere io

Prima di chiedervi come fa una madre a dimenticare la sua bambina in auto per ore, chiedetevi quante cose vi siete scordate nell'ultima settimana. Cose, certo, non persone. Non vostra figlia. Ma per quanto possa sembrare orribile dirlo, non fa differenza. Io non ho alcuna vergogna ad ammettere che potrei essere Ilaria Naldini, la mamma 38enne di Terranuova Bracciolini, indagata per omicidio colposo per aver dimenticato in auto la sua piccola di 16 mesi, convinta di averla portata all'asilo. Ha fatto il tragitto di sempre, ha posteggiato, è andata in ufficio. Ha sbrigato le solite cose fino alle 14, al comune di Castelfranco di Sopra, in provincia d'Arezzo, chiamate, pratiche, pausa caffè. Si è accorta che la bimba era in auto quando è tornata alla macchina. Sei ore chiusa nell'abitacolo. Bastano 20 minuti a un bambino per andare in ipertermia, due ore per smettere di respirare. Infatti, la piccola non ce l'ha fatta. Non è servito il tentativo di rianimazione d'urgenza, non è servito il 118. L'urlo di quella madre nella piazza è lo sparo nella notte di tutti i nostri blackout.

L'errore a volte banale, a volte fatale

Ci sono cose che il nostro cervello fa in automatico, senza pensare, come guidare la macchina. Le nostre giornate sono fatte di percorsi e circostanze sempre uguali, che ripetiamo come in trance. A volte le cose si affastellano e mentre costipiamo in quella scatola nera che è la nostra memoria informazioni, impegni, scadenze, acciuffando alla rinfusa i post-it virtuali che ci arrivano alla mente come meteore, continuiamo a correre sui binari come sempre. Convinti di non poter deragliare. E invece a volte andiamo in corto circuito, perché la parte del cervello che dovrebbe controllare la parte che agisce in modo inconsapevole non lo fa, creando dei falsi ricordi. Dunque noi siamo convinti di aver seguito il copione come sempre, anche se in mezzo è successo qualcosa. È in questa smagliatura che sfugge alla nostra coscienza che s'insinua l'errore. A volte banale, a volte fatale. Il cervello non fa differenza tra un computer e un bambino. Pazzesco, lo so, ma è così.

Non basta spegnere e riavviare

Qualche giorno prima della tragedia, Ilaria aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook un articolo del Fatto quotidiano intitolato Maternità e lavoro: perché le donne non ce la fanno più. Ma prego tutti di non cadere in facili conclusioni. Non è il doppio ruolo, in casa e in ufficio, che ci manda in tilt, non solo almeno, non a tutti livelli. Sono le aspettative sociali, il non potere disattendere ciò che gli altri si aspettano da noi: «madre premurosa», «lavoratrice affidabile», così viene descritta dai giornali Ilaria. Termini lusinghieri che possono diventare un boomerang. Perché non si può fare bene tutto, non sempre. E «multitasking» non è un complimento, è una presa in giro. In informatica si chiama così il sistema operativo che permette di eseguire più programmi in contemporanea, con «commutazione di contesto». Ma noi siamo persone non macchine, e quando andiamo in bomba non basta spegnere e riavviare.