Ha perso Hillary Clinton o hanno perso le donne? Riformulo. Ha perso Hillary Rodham in Clinton, l'adolescente ambiziosa che già al liceo sognava per sé un futuro a Washington; la quattrocchi secchiona corteggiata a oltranza dal più fico di Yale, costretto a lenta e sadica marinatura prima del sì nuziale perché la ragazza nel frattempo aveva da fare altro e una casetta in Arkansas con mattoni a vista non era, diciamo, tra le priorità; la più giovane legale nonché unica femmina nella commissione di 38 colleghi maschi chiamata a destituire il presidente Nixon per lo scandalo Watergate, l'avvocatessa brillante, la politica scaltra, la first lady più interessata a investire sulla riforma sanitaria che sui vestiti e le serate charity, la moglie poco propensa a sfornare biscotti ma propensissima a perdonare le scappatelle del marito e farsi umiliare in mondovisione, la femminista navigata, la paladina dei diritti civili e del cerchietto come manifestazione di potere, la candidata alla Casa Bianca incapace di vincere, prima contro un primato (il primo presidente nero degli Stati Uniti), poi contro un primate, Donald Trump. Per un motivo: non è simpatica. Dunque, ha perso lei nello specifico o abbiamo perso tutte? Cioè lei per tutte, essendo rappresentante della categoria?

Ha vinto il voto di protesta

Io penso, che abbiamo perso TUTTI. Maschi e femmine. Prime della classe e sfornatrici di biscotti. Progressisti e conservatori. Perché al di là del genere, del QI, della razza, del censo e della fede politica, quella di Hillary è la sconfitta del merito. Questa è la cosa che brucia di più. Aver perso con un candidato che non "vale" quel posto lì, non è all'altezza. Non tanto e non solo perché è del tutto impreparato al compito – cosa già di per sé gravissima – ma perché non ne avverte il peso e l'onere. Ha vinto il voto di protesta, hanno scritto. Contro l'establishment, i poteri forti, la vecchia politica che non cambia mai, i soliti noti che predicano bene e razzolano male, parlano in difesa dei deboli e poi si fanno finanziare dagli squali di Wall Street. Hillary per molti era il male assoluto, incarnazione di quel mondo lì. Ma davvero la soluzione a un sistema che va ridisegnato è il primo che passa? Quello che la spara più grossa, rispolverando fanatismi, razzismi, odi, che di certo intercettano la pancia del paese, ma nelle sue manifestazioni più becere?

Esempi vicini a noi ci dimostrano che non ci si improvvisa

Non basta essere contro il sistema - una ricetta molto in voga in quella nuova forma di democrazia diretta che è la Rete – per essere bravi a governare. Non basta nemmeno essere nuovi alla politica, dunque non contaminati: bisogna essere capaci. E agire con senso di responsabilità per trasformare quel malcontento in qualcosa di utile. Purtroppo esempi anche a noi vicini ci dimostrano che non ci si improvvisa, che non si può gestire una città allo sbando solo con l'onestà e le buone intenzioni, figurarsi un Paese, senza avere né l'una né le altre, facendo leva sulla rabbia di chi non ne può più. Hillary non era perfetta, ma almeno sapeva cosa andava a fare. Aveva "studiato".

La sua sconfitta è lo specchio della sconfitta di tutte

Le sue lacrime in albergo mentre il rosso dei repubblicani si prendeva pezzo pezzo i vari Stati d'America, il suo silenzio durato 12 ore, le parole che ha detto infine per scusarsi della débâcle e invitare a non mollare, finalmente umana e fragile come chiedevano i commentatori, sono lo specchio della sconfitta di tutte. Di tutte le volte che ci hanno sorpassato ingiustamente, che ci hanno dato delle ambiziose solo perché chiedevamo ciò che ci spettava, che ci hanno accusato di "fare i maschi" perché puntavamo ai loro stessi ruoli, mostrando una sana determinazione e poco interesse per "le cose da femmine", le volte che ci hanno messo su delle etichette. Che ci hanno detto che non eravamo simpatiche. Insomma, alla fine, abbiamo perso noi? No, tutti. Pure gli uomini. Almeno quelli che, qualunque cosa fosse, se la meritavano.