Ho fatto un sogno. Anzi era un incubo. Ho sognato che Donald Trump vinceva le elezioni. E forse, ora che leggete, le ha vinte davvero. In quel caso potete risparmiarvi il pistolotto che segue. Oppure riavvolgere il nastro e andare avanti, riassaporando con me la beata ingenuità degli ignari. Nel sogno Trump aveva chiome particolarmente fluenti e colorito fluo, come nelle peggiori applicazioni di terra arancio-salmone e di self-tan delle noi adolescenti in trip da pennello kabuki e diidrossiacetone. Non si capisce come gli anni Ottanta siano finiti per tutti, meno che per lui.

Donald e le sue donne

Gridava Lets' make America great again!, agguantando supporter femmina per le mutande, veterani per la canna del fucile, obesi per la collottola e messicani per il cinturone, ignorando di averli apostrofati un giorno «criminali, trafficanti di droga e stupratori». Melania era in rosa pussy-cat, Ivanka in tailleur panna. Tutte le altre in tenuta da conigliette di Playboy. La gente applaudiva entusiasta, mentre su un mega-schermo Hillary singhiozzava guardando sconsolata la volta di cristallo intatto e irraggiungibile sopra di lei, con una mazza da baseball in mano e una platea di star in tenuta da Oscar ammutolite intorno a lei.

L'ingresso trionfale alla Casa Bianca

L'ingresso alla Casa Bianca lo ricordo particolarmente suggestivo. Arrivo in limousine con corteo variopinto di ex mogli, figli di primo e secondo letto, suocere a carico, babysitter, avvocati divorzisti e comitato d'accoglienza di giovani stagiste pronte a tutto. Fattorini in livrea scaricavano carovane di bauli Luiuittòn con la solerzia e il fiatone che ho visto solo tra i colleghi del clan Kardashian. Sul cupolone della celebre dimora svettava, accanto allo stendardo della patria, la scritta al neon Trump House e sotto un cartello, Oval Office Mall, mid-season sale: mettevano in saldo gli abiti Michelle, passata di colpo dai Versace d'ordinanza ai Top shop di serie, senza ambizioni da griffe.

Le sue prime mosse da presidente

Tra i primi provvedimenti del suo mandato: estensione del porto d'armi sotto i 5 anni, esclusione dai pubblici uffici dei portatori di sovrappeso e cellulite, espulsione immediata di arabi, siriani, afghani, gente con fototipo 5-6 e altri potenziali jihadisti, privatizzazione selvaggia della sanità anche per le fasce deboli e poco produttive – soprattutto per loro: e chi sono io, Babbo Natale? – quote rose. 

Bill Clinton tornava a suonare il sax

La voce quote rosa si riferiva a una serie di agevolazioni per il lavoro femminile, previa formazione e master su YouPorn. Putin diventava il suo Bff (best friend forever), fino a quandola megalomania dell'uno non cozzava con la mitomania dell'altro e si scocciavano di giocare a Risiko solo in due, decidendo di cedere ad Assad la Kamchatka in cambio di una bella guerra globale. L'Onu contava come il due di picche. Renzi non si sentiva più «l'amico degli Usa»e si vedeva anche meno bellino, cosa che minava la sua autostima e quindi il peso dell'Italia all'estero. Bill Clinton tornava a suonare il sax. Hillary a fare la nonna, con grande scorno delle femministe, e di tutte quelle che avevano creduto nel girl power. Lena Dunham cambiava sesso. Beyoncé lasciava Jay-Z e buttava i limoni dal frigo. Poi mi sono svegliata. O forse no.