Barack Obama e Matteo Renzi. Due leader che s'incontrano alla Casa Bianca in momenti opposti della loro parabola politica. Il presidente Usa è al termine del secondo mandato e progetta un futuro da ricco avvocato e conferenziere. È entrato giovane nello Studio ovale e ne è uscito dopo otto anni con i capelli bianchi e lo sguardo indurito. 

Il nostro premier, invece, è alla vigilia del voto più importante della sua carriera politica: il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Si gioca tutto: poltrona, carisma, futuro. Se vince il , piega le opposizioni e raddoppia la posta puntando alle elezioni anticipate. Se vince il no, dovrà con ogni probabilità dimettersi da presidente del Consiglio. I sondaggi oggi lo danno in svantaggio. Ed ecco che, in un viaggio a Washington pianificato da tempo, gli arriva la mano tesa dell'uomo più potente (ancora per poco) del mondo: Obama invita gli italiani
a votare sì al referendum e si augura, se vince il no, che Renzi resti a Palazzo Chigi

Cosa lo spinge a spendersi così generosamente?
Il timore della debolezza dell'Europa, mai così sfilacciata e priva di leadership come adesso. L'ascesa delle forze anti-sistema e populiste preoccupa Washington, così come il consenso in America per Donald Trump.
Che magari non vincerà le elezioni, ma ha con sé una fetta larga di elettori e gioca sulle paure del ceto medio impoverito. 

La Casa Bianca teme l'isolamento Usa e cerca alleati in Europa. E visto che Hollande è al minimo dei consensi e la Merkel rischia una sconfitta alle prossime elezioni, Obama prova con Renzi a puntellare le relazioni con uno dei pochi leader europeisti rimasti. Chiedendogli magari di schierare anche qualche soldato in più sui fronti di guerra, dalla Libia all'Iraq.