Giulia ha 33 anni, è preparata, piena di interessi, una delle persone più in gamba che io conosca. Lavoro con lei ormai da tanti anni. Anni a singhiozzo di contratti a termine, in cui ci si perde e ci si ripiglia di continuo, mai al sicuro, con questa trappola del precariato a vita che oggi chiamano flessibilità. Giulia è una che non si lamenta. Anche se in un mondo ideale, anzi solo giusto, con politiche del lavoro sane e lungimiranti, avrebbe un posto fisso già da un po'.  In questo andirivieni di co.co.co e co.co.pro, l'unica costante è stata il fidanzato, ricercatore mancato e fine pensatore, appeso al filo di buste paga a scadenza pure lui. Oggi vive a Parigi (assunto!). Lei a Milano (assunta, finalmente!). Si amano, si chattano, si vedono quando possono nei weekend. E una famiglia? Bella domanda. E un figlio? Magari, sì, ma come? 

Donatori in Rete, cliniche all'estero

Lavinia invece la "provvisorietà" l'ha scelta. È un'inquieta. Televisione, radio, giornali… La sua creatività al servizio del mondo. Dopo due mesi nello stesso posto scalpitava. Cambiava uffici, città, fidanzati… Ogni volta che l'incontravo era una soap. Alla soglia dei 40 si è data una calmata. Voleva un figlio, non aveva un uomo, o forse sì, una roba mezza mezza, amore tiepido. Convivenza sì, optional no: pacchetto base. Era già padre, non gli serviva "fare l'esperienza". Vabbè. Quando ha capito che proprio "non ce n'era" ha iniziato a provare da sé: donatori in Rete, cliniche all'estero, eccetera. «È che in amore sono sfortunata...». È un po' che non la sento, chissà dov'è.

Questa è l'Italia delle culle vuote

Poi c'è Chiara, prima della classe dal liceo al Ph.D. Una che tutte le cose le deve fare al massimo. Infatti è arrivata dov'è arrivata: cattedra in una prestigiosa università americana. Alla maternità ci ha pensato dopo i 35 e l'ha perseguita con metodo, mettendoci la tigna che metteva sui libri. Più, in questo caso, un valido papà. Almeno lei fa quello che le piace. Perché poi c'è anche chi rimanda per un lavoro che le fa schifo, un titolare che la ricatta, uno stipendio da Terzo mondo. Questa è l'Italia delle culle vuote, dell'1,39 figli procapite, degli orologi biologici con le pile esaurite. Ma ad esaurirsi prima di tutto sei tu, se sei condannato al vorrei ma non posso.

Fare un figlio non è solo questione di ovulazione

Quando ho saputo del Fertility day (perché io lo sapevo, come mai Renzi no? se ne parlava già da mesi), ho pensato che sarebbe stato bello portare le storie dell'Italia al ministro. Il Paese reale mai interpellato. Per parlare di fertility, sì, ma non solo, anche di quello che gli gira intorno. Soprattutto di quello. Perché fare un figlio non è solo questione di ovulazione. La biologia ha bisogno di un progetto. E il progetto di una "base" su cui costruire, altrimenti è solo incoscienza. Morale: il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ci ha accordato un incontro prima che la campagna "delle clessidre" partisse. Per puro caso, ci ha ricevuto il giorno dopo della rivolta sui social. Volete sapere com'è andata? Il resoconto su Gioia! in edicola.