Nizza è sempre stata per me la città delle estati spensierate. La Francia a portata di mano, più moules-frites che escargot, sorniona, accogliente, senza la spocchia di Cannes. Si aspettava con ansia insieme a mia cugina la fine della scuola per scappare in quella zona franca di adolescenza sfrenata, dove l'unica regola era il corso di lingua al mattino − tra torinesi di buona famiglia, tedeschi in bermuda, asiatici in batteria − e poi, assolto il dovere, spiaggia e piacere fino a sera, su e giù per quella Promenade Des Anglais che odorava di mare, creme solari e feromoni.

Ci sentivamo parte dello stesso mondo

Per me che venivo da una piccola città con ambizioni cosmopolite, con la sua università per stranieri, era un assaggio di multietnicità e integrazione. Alla caffetteria vicino alla scuola i nizzardi francesi e tunisini socializzavano con le studentesse americane, svedesi, spagnole. Parlavamo lingue diverse ma ci sentivamo parte dello stesso mondo. L'unico discrimine non era né il colore della pelle né la provenienza geografica, ma l'età: i grandi coi grandi, i piccoli coi piccoli. Noi si restava a bisbocciare in zona, gli altri la sera partivano alla volta di Antibes e Saint-Tropez, presentandosi il giorno dopo sfatti e assonnati.

L'ottimismo di un tempo rispetto al futuro

Era un mondo certamente più chiuso e provinciale del nostro, quello di trent'anni fa, con le sue dogane ai confini e le valute nazionali, ancora circospetto e diffidente verso l'altro, ma in qualche modo curioso, con un pensiero vergine e ottimisma rispetto al futuro, non corrotto dalla paura. Noi ragazzini ci sentivamo l'avamposto di una nuova società multirazziale pronta a venire. Preparavamo il terreno. E mai avremmo pensato che in così poco tempo le frontiere sarebbero cadute e il mondo sarebbe diventato piccolissimo e raggiungibile ovunque, grazie a Internet e ai voli low cost. 

La diffidenza e l'angoscia collettiva

Mai però avremmo immaginato che dopo l'esplosione della globalizzazione e il big bang digitale, ci sarebbe stata un'implosione ancor più deflagrante. La nascita di nuovi confini,  il rifiorire dei nazionalismi, il dilagare di un razzismo non più etnico ma culturale e religioso, germogliato in risposta al fanatismo armato, il diffondersi di una diffidenza più estrema, alimentata da un'irrazionale ma legittima angoscia collettiva.

L'islam radicale trasforma la rabbia in sogno di riscatto

I fatti di Nizza sono stati per me la fine definitiva dell'innocenza. Vedere quell'incantevole lungomare di skater, passeggini e condomini bianchi, trasformarsi in cimitero, coi fiori abbandonati sull'asfalto, i turisti che si aggirano come zombie nel triste teatro dell'ecatombe, è stato un lutto vero. E anche un brutto risveglio. L'integrazione era solo apparente, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, che il 14 luglio ha falcidiato con un tir 82 persone, è figlio, insieme ai presunti complici della strage, di quella banlieue dissestata in cui l'islam radicale trasforma la rabbia in sogno di riscatto, la frustrazione personale in eroismo da martire. Anche per chi il Corano non sa neanche cosa sia. Ed è da qui che bisogna partire per arginare la metastasi che sta spargendo terrore a ogni latitudine, rendendo il nostro vivere incerto e ogni strategia di prevenzione parziale o vana. Un'operazione lunga e complessa. Ma è l'unica che ci può salvare.