Fare il giro del mondo in moto è già di per sé un'esperienza incredibile, ma per Anita Yusof lo è in modo particolare. Questa insegnante 52enne infatti, originaria della Malesia, è musulmana e secondo i dettami della sua religione non potrebbe salire nemmeno su una bicicletta, figuriamoci su una ruggente due ruote.

La storia di Anita: il divorzio, la rinascita

Anita – che sotto il caso indossa un hijab, il tipico velo che lascia scoperto solo il viso - ha raccontato di aver scoperto il fascino della moto dopo il divorzio. Racconta: «Ero affranta e ho pensato che mi sarebbe servita un'esperienza forte per distrarmi». 

I primi viaggi

Il primo viaggio è durato 22 giorni, attraversando Cambogia, Laos e Birmania, mentre nel secondo viaggio Anita è arrivata fino in Asia Centrale. Una zona non facile per una donna: «In Afghanistan c'era la guerra, evitavo i punti caldi, mi fermai a un certo punto per chiedere di un albergo e mi ritrovai circondata da uomini curiosi o scandalizzati. Capii che non mi avrebbero dato alcun aiuto e scappai via».

Il giro del mondo in moto

Dopo aver girato in Nepal, Cina e Indonesia, è arrivata l'idea del giro del mondo, un'impresa che è riuscita a intraprendere anche grazie ad un'azienda italiana, la GIVI: partendo da Seattle Anita ha attraversato in sella ad una Yamaha FZ 150ib (che quando è a pieno carico pesa oltre 210 kg!) tutta l'America, da Nord a Sud, poi è volata a Londra, e passando poi per Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. Un viaggio sicuramente indimenticabile, anche se non privo di difficoltà: «Non avevo mai visto l'Oceano o un panorama di montagna come ce ne sono in America, con i ghiacciai e gli alberi così alti che non si vede il cielo! Ho percorso centinaia di chilometri su strade deserte o fangose o sabbiose o battute dal vento che non riuscivo neppure a stare in piedi».

La religione

Ma il Global Dream Ride, questo il nome del progetto, ha anche un altro importante scopo: «Sono caduta molte volte imparando a rimettermi in piedi senza scoraggiarmi», continua la motociclista, «In Argentina la tv della comunità musulmana mi ha dato molto spazio e ho cercato di aprire gli occhi alle donne della mia religione. Spero che cambi anche il mio Paese dove ora tutte dobbiamo di nuovo portare il velo».