Ricordateli così: perché i ragazzini di queste foto, in piena preadolescenza, si sono già smaterializzati. Niente di allarmante: continuano a svegliarsi la mattina ululando, a vestirsi e pettinarsi in modo incongruo, resistono più o meno decorosamente sui banchi per sei ore e poi ciondolano fuori da scuola in cerca di un pretesto per non tornare a casa, dove youtuber, social e giochi elettronici scippano il tempo allo studio. Il solito.

Ma è un fatto che i nove studenti delle medie con cui abbiamo a lungo chiacchierato siano già molto cambiati, dal giorno in cui li abbiamo fotografati. Va così. Il trasformismo è il marchio di fabbrica della preadolescenza, termine con cui si designa l'età tra i 10 e i 13 anni, buco nero nella memoria di ogni adulto. A rinfrescarcela ci hanno pensato loro, in un pomeriggio di chiacchiere in redazione, di cui qui riportiamo qualche stralcio in forma anonima, come ci hanno chiesto appena i genitori hanno girato l'angolo.

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Diana Bagnoli
Olivia, Cora, Lorenzo, Andrea, Giovanni.

«Io li chiamo mutanti perché fanno davvero la muta», spiega Sofia Bignamini, psicoterapeuta dell'età evolutiva che lavora presso l'Istituto Minotauro di Milano. «Con la preadolescenza e la pubertà cambiano voce, corpo, lineamenti: dentro di loro si consuma una vera rivoluzione. Solo i primi mesi di vita intrauterina sono paragonabili a questo periodo per quantità e intensità dei mutamenti». I nuovi super poteri sono il propellente che li spinge violentemente fuori dall'infanzia, verso una terra di mezzo lunga più o meno un triennio. «Non sono ancora adolescenti, soprattutto da un punto di vista cognitivo», continua Bignamini, «non hanno ancora acquisito le capacità dell'astrazione e della simbolizzazione, di rappresentarsi, o di chiedere aiuto».

«La gente mi vede sorridente, non sa che spesso la sera mi metto a piangere». Insomma un pre-teenager è una creatura "tutto-corpo-poca-mente". Eppure, da un po', la categoria preadolescenza gode di una certa considerazione sociale. «La precocità biologica e psichica ora li rende una fascia a rischio», chiarisce Bignamini. «Spesso il loro corpo si sviluppa prima che siano attrezzati per gestirlo. A incoraggiarli a bruciare le tappe, anticipare esperienze e consumi, è la cultura narcisistica che valorizza la seduttività e il mercato, che li vede come potenziali consumatori. Non tutti. C'è anche chi, atterrito dall'accelerazione brutale, fa un passo indietro, si trincera ancora un po' nell'infanzia».

«Mia madre mi mette in imbarazzo, si prende confidenze coi miei amici, fa troppe domande». Prima o poi l'invasione degli ultracorpi s'insinua in ogni famiglia, sgretola la più salda autostima: da teneri coccoloni, i nostri figli si traformano in iene. «Vivono uno strappo violento nella logica dell'allontanamento», ci illumina Daniele Novara, pedagogista, autore di Urlare non serve a niente (Rizzoli). «Da piccoli ci cercavano, ora vogliono essere lasciati in pace, sono antipatici, si lavano poco, forse per tenere i grandi alla larga». Per Bignamini è l'età della disillusione. «L'adulto, che era una figura idealizzata, ora non è in più in grado di comprenderli e difenderli. Non ce l'hanno coi genitori, hanno un problema con il legame affettivo che impedisce loro di crescere». E qui Bignamini ci regala una chiave poetica e consolatoria: «Sono come Ulisse e i suoi marinai: per resistere al canto delle sirene si devono foderare le orecchie».

«Durante la preadolescenza non hai più la magia che ti gira intorno come da bambino e ti rende felice anche quando non dovresti esserlo». Solo con l'adolescenza i ragazzi cominciano a organizzare una vera identità: prima di allora è tutto inagibile per lavori in corso. Il pre-teen non possiede un codice proprio. Giocare come un bimbo lo indigna, nel suo cantiere da ricostruire si annoia, vive un senso di lutto per l'infanzia che si chiude e per il mondo dai contorni incerti che gli si schiude davanti. La solitudine è acuita dalla libertà di cui improvvisamente gode. «In genere ciò che fanno è spingersi verso il gruppo», dice Bignamini, «come insegnano le mamme dai tempi del nido: se non leghi coi compagni, sei un asociale. La preadolescenza è il regno dei pari. In prevalenza monosessuale, il gruppo è un luogo di crescita ma anche di rischio: impone regole brutali, pena l'esclusione».

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Diana Bagnoli
Carolina, Nicola, Aline e Veronica.

«Se sono triste, c'è uno youtuber che mi fa tornare il sorriso: lui mi capisce senza conoscermi». Il regno dei pari è inquilino assiduo del Web o delle chat su WhatsApp e Instagram. Il 35 per cento degli adolescenti, dice la Società di Medicina dell'adolescenza, ha avuto il primo smartphone a 11 anni. «È il loro ingresso in società», spiega Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta, autore di Cyberbullismo. Come aiutare vittime e persecutori (Mondadori). «È saggio che all'inizio i genitori conoscano la password. Quando però iniziano cotte e segreti, meglio rinegoziare limiti e divieti sulla base della fiducia e considerare la password come la chiave della loro stanza: è l'età in cui hanno diritto a stare da soli e pure di mentire». Più difficile è accettare la loro fede cieca per un mesto manipolo di youtuber che commentano videogame berciando volgarità, o animano con saccenza da maîtresse tutorial sul make up perfetto. Figure «per niente speciali», conferma Bignamini, «ma visibili: tale visibilità li rende l'anello di congiunzione coi loro idoli». Per un pre-teen un idolo incarna valori e ideali. E lo youtuber di turno è «un bro'», cioè «un fra'», per dirla in "italiano".

«L'amore, per quello che ho capito, è provare qualcosa di forte per una persona, anche un amico. Fa stare bene e male, fa fare spesso gaffe». Abbiamo chiesto ai ragazzi cosa sia l'amore: sembrava raccontassero la trama di un film che non hanno mai visto. Uno solo di loro aveva già dato un bacio vero; gli altri lo immaginano «morbido, bello». Tutti concordano nel rimandare idealmente l'appuntamento con la prima volta «tra i 16 e i 18», «ma solo se sarò innamorato o coinvolto». Con buona pace della tempesta ormonale che li abita. «Siamo solo agli inizi, molto ancora dovrà succedere nella loro vita emotiva e sessuale», frena Bignamini. Si dicono "fidanzati", ma è uno status quasi virtuale. «Assecondano la pulsione a comportarsi da grandi, ma i legami non sono ancora un'occasione di emancipazione». Piuttosto un'esperienza propedeutica in cui condividere giochi e passatempi come fratelli. Fino alla prossima mutazione.