Si parla tanto di gender, spesso a sproposito. Ma c'è un ambito nel quale le differenze tra uomini e donne andrebbero più rimarcate: quello della medicina. Molti studi scientifici dimostrano che l'essere nati maschio o femmina condiziona le malattie, ma anche il modo in cui queste vengono diagnosticate e curate. La prima differenza è nell'aspettativa di vita: tutti guadagnano anni, ma le donne di più, ben cinque (84,6 anni contro 79,9 degli uomini), che però si traducono in maggiore disabilità e malattia. Tante le differenze. Se il rischio di Alzheimer è peggiore per noi (una donna su 6 contro un maschio su 10), sono più numerosi gli uomini afflitti dal Parkinson. I disturbi d'ansia ci colpiscono due volte di più, anche se la depressione negli uomini è sotto diagnosticata e il tasso di suicidi più alto. 

Proprio di questo si occupa la medicina di genere: studiare come le diversità tra uomini e donne influiscano sulla salute, per garantire a tutti il migliore trattamento. È uno degli aspetti di quella che, all'ultima edizione di The future of science della Fondazione Veronesi, è stata definita la "medicina di precisione", cioè un approccio sempre più individuale e personalizzato nella ricerca, nella prevenzione e nelle terapie. Per differenze di genere s'intendono non solo i caratteri sessuali, ma anche aspetti della fisiologia e della psicologia. L'idea che le diversità svolgano un ruolo cruciale in medicina risale alla metà degli anni 80. Nel 1991, la cardiologa Bernardine Healy pubblicava un articolo intitolato The Yentl syndrome (dalla protagonista di un libro di Singer, Yentl, poi diventato un film con Barbra Streisand) denunciando le discriminazioni dei cardiologi nei confronti delle pazienti che subivano un numero maggiore di errori diagnostici, ricevevano meno cure ed erano sottoposte a interventi chirurgici non risolutivi e poco rappresentate nelle sperimentazioni per nuovi farmaci. 

«Non possiamo più permetterci di curare uomini e donne nello stesso modo», spiega Giovannella Baggio, ordinario a Padova dell'unica cattedra di Medicina di genere in Italia. «I dati evidenziano importanti differenze rispetto alle malattie, ai sintomi e alla risposta ai farmaci. Quindi terapie e prevenzione devono essere differenziate». Prendiamo l'infarto: nel 2016, persiste il luogo comunque che sia una malattia maschile quando, invece, è la prima causa di morte per le donne. «Negli ultimi quarant'anni, la mortalità è diminuita fortemente per l'uomo, meno al femminile. I sintomi sono diversi: le donne spesso non hanno il dolore al petto, ma al dorso. Oppure hanno solo ansia, lieve asma, vomito (più la donna è giovane, più atipici sono i sintomi) perciò finiscono per non essere ricoverate, soccorse in ritardo o nel reparto sbagliato. Così la mortalità è più alta. Nelle donne si ammalano di più le piccole arterie, ma la coronarografia non sempre lo evidenzia. Ci sono patologie, come la rottura di cuore, quasi esclusivamente femminili. Ma poco si è fatto per capire il motivo. Eppure, la cardiologia è la specialità più avanzata nella conoscenza delle differenze di genere: l'American heart association ha pubblicato le linee guida per la prevenzione nelle donne, e al momento sono le uniche». 

Anche lo screening per il tumore del colon-retto è inadeguato: «Nella donna prevale la malattia del colon ascendente, nell'uomo quella del tratto discendente: ma soltanto in quest'ultimo si ha presenza di sangue occulto, quindi il test potrebbe risultare falsamente negativo. Ecco perché le donne devono affidarsi alla colonscopia», conclude la professoressa Baggio. Quanto alle malattie respiratorie,  prima della pubertà gli uomini sono colpiti due volte più delle donne dall'asma. Ma poi, tra le donne adulte, questa malattia diventa più frequente che negli uomini. Il "sorpasso" è dovuto agli ormoni: gli estrogeni regolano il rilascio di molecole proinfiammatorie (citochine) coinvolte nella reazione asmatica. Anche la menopausa è un periodo a rischio: quando le ovaie iniziano a cessare le loro funzioni, si verifica un aumento della produzione di citochine, con il peggioramento o addirittura una prima comparsa della malattia. 

Ancora, per le donne è persino più importante che per gli uomini smettere di fumare: se in passato il tumore ai polmoni per noi era una malattia rara, dagli anni 50 è aumentato del 600 per cento: le sostanze cancerogene del tabacco sono più nocive per le femmine, che hanno meno capacità di riparare il Dna. Se comparati a quelli degli uomini, i polmoni femminili, anche delle non fumatrici, appaiono più vulnerabili alle patologie tumorali. Anche in questo caso, gli ormoni (in particolare gli estrogeni) giocano un ruolo importante. Nelle donne fertili, la malattia è più aggressiva. E quelle che hanno avuto più figli sembrano avere un maggior rischio di incorrervi. 

Le donne prendono circa il 40 per cento in più di farmaci rispetto agli uomini, soprattutto tra i 15 e i 54 anni. Eppure, molti non sono stati sperimentati sulla popolazione femminile. Per tanti motivi: «Il principale è evitare il rischio di esporre una donna in età fertile a possibili effetti sconosciuti o, se resta incinta durante lo studio, che il feto possa avere malformazioni», spiega Flavia Franconi, ordinario di Farmacologia cellulare e molecolare dell'Università degli Studi di Sassari. «Inoltre, l'organismo femminile è più complesso per la variabilità ormonale che lo rende "diverso" durante il ciclo e più problematico come modello di studio. Il risultato è che alcune terapie possono risultare meno efficaci o perfino più pericolose: tanto che le donne hanno quasi il doppio di reazioni avverse ai farmaci». 

Tra maschi e femmine esistono differenze che influenzano il metabolismo dei medicinali: per esempio il fatto che il corpo femminile abbia una percentuale di acqua inferiore fa sì che i farmaci solubili si distribuiscano meglio nell'organismo maschile. Si sa anche che la cardio-aspirina, nelle donne, riduce del 17 per cento il rischio di ictus, ma è inefficace nel prevenire l'infarto come invece fa nell'uomo. In compenso, sulle donne i vaccini funzionano meglio. Al momento, l'unico studio di farmacovigilanza sull'impatto delle differenze di genere sulla risposta alle cure lo ha promosso Novartis per la psoriasi: somministrando a uomini e donne un farmaco a base di ciclosporina con dosi differenziate, non ci sono peggioramenti negli effetti collaterali. La percentuale di pazienti con reazioni negative è maggiore nelle donne in menopausa (più 33 per cento) rispetto a quelle in età fertile. E questo apre un filone nuovo per la ricerca: la risposta a un farmaco cambia anche a seconda delle età della vita femminile. Perché le donne vivono tante stagioni.

Foto: Getty