Mentre ricomincia la discussione politica per una legge sul fine vita, che molti altri Paesi europei hanno introdotto da tempo, vale la pena di fare chiarezza sui termini della questione.

Testamento biologico

Una persona dichiara a quali terapie intende sottoporsi e quali vuole invece rifiutare nel caso non fosse in grado di esprimere il proprio pensiero al momento della necessità del trattamento. Si tratta quindi di dare o negare il proprio consenso quando si è ancora in grado di farlo. In Italia il tema è molto discusso, perché nel momento della decisione il medico deve poter legittimamente presumere che la volontà espressa dal paziente con il testamento biologico quando era in possesso delle sue facoltà sia rimasta la stessa. Il medico, quindi, anche di fronte a un testamento biologico, potrebbe ritenere non attuale il consenso o non essere certo della provenienza delle dichiarazioni (a meno che non si tratti di documento autenticato davanti al notaio).

Oggi in Italia chi pratica eutanasia e suicidio assistito è punibile con il carcere fino a 15 anni.

Eutanasia

Consiste nel porre fine deliberatamente alla vita di un paziente per evitare una lunga agonia, in caso di malattie incurabili; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita (eutanasia passiva), o attraverso la somministrazione di farmaci in grado di affrettare o procurare la morte (eutanasia attiva).

Suicidio assistito

È il ricorso a pratiche mediche per una scelta volontaria e lucida di mettere fine alla propria esistenza. Nel suicidio assistito il gesto finale deve essere compiuto dal paziente. Oggi in Italia chi pratica l'eutanasia o il suicidio assistito è punibile con il carcere fino a 15 anni.

Su che cosa discuterà il Parlamento

Tra le proposte di legge sul fine vita al vaglio in Italia, quella più importante sembra essere la proposta di iniziativa popolare, sottoscritta da oltre centomila persone, che prevede sostanzialmente l'ingresso dell'eutanasia. Il testo recita: «Ogni cittadino può rifiutare l'inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o di terapia nutrizionale». Solo, però, a determinate condizioni. Il paziente infatti deve essere maggiorenne, la sua richiesta deve essere «attuale e inequivocabilmente accertata» e motivata dal fatto che che «è affetto da una malattia produttiva di grandi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a 18 mesi».

L'autrice di questo articolo, Laura Logli, è avvocato, esperta in diritto di famiglia