Care amiche,

questa settimana vi scrivo dalla Thailandia, Paese che 12 anni fa ho scelto come 'la mia casa'. In seguito allo tsunami, il mio lavoro di giornalista mi portò qui per intervistare persone di diversa età, classe sociale, professione, e raccogliere testimonianze sull'enorme disgrazia comune. Molti avevano perso uno o più familiari, tanti erano rimasti senza un tetto e un lavoro.

Ciononostante, nessuno si lamentava. Raccontavano con calma le loro vicende - mi ricordo di una vecchina che si era salvata perché l'onda aveva sollevato lei e il suo carretto da venditrice ambulante in cima a una palma – e poi, con un sorriso, terminavano dicendo 'Adesso dobbiamo ricostruire'. Dopo oltre un decennio, nonostante il turismo occidentale abbia impattato a duri colpi di materialismo su una cultura in cui felicità dipende invece dallo spirito, la Thailandia è ancora conosciuta come the land of smile, la terra del sorriso. Eppure ne ha passate di tutti i colori: due anni fa l'ennesimo colpo di stato, poi la crisi economica e ora le invasioni barbariche dei nuovi ricchi che hanno eletto il denaro a valore portante di ogni scambio umano. Ma il sorriso resta. Restano la calma, la gentilezza, la consapevolezza che tutto cambia. E, poiché nulla permane, ogni miracolo è possibile.

L'ATTITUDINE CHE FA LA DIFFERENZA

La cosa che più mi manca quando torno in Europa è proprio quest'attitudine al vedere/sentire/pensare positivo. Certo amo il clima tropicale, il poter condurre soggiorni di meditazione e ribilanciamento psicofisico in un luogo che è davvero un piccolo paradiso, incastonato in una natura stupenda, con un mare cristallino e sempre caldo. Ma di luoghi belli al mondo ce ne sono tanti. Mentre sono rari quelli in cui la felicità si respira nell'aria, come una sorta di energia invisibile ma capace di accendere in ogni situazione una luce serena.

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Per questo organizzo i principali ritiri di mindfulness qui, dove è più facile riprogrammarsi al benessere e diventare 'happiness oriented'. Ed è questo ciò che più mi manca ogni volta che torno a Milano, quando, seduta in auto, mi stupisco ancora della rabbia con cui pigia sul clacson il signore in giacca e cravatta che sta dietro di me al semaforo (se non scatto qualche secondo prima del verde). O dell'umore grigiastro che vedo su molti volti ogni mattino, delle lamentele che sento nei bar, nelle aziende e in televisione, del malcontento diffuso che trova tante motivazioni – lavoro stressante, mancanza di tempo, di denaro, di speranze … – ma, di fatto, si esprime più in lamentele che in prese di posizione utili al cambiamento. Nella paludosa immobilità collettiva, le lamentele sono come veleni di cui sembra non si possa più fare a meno.

DISAGIO-DIPENDENZA

E qui sta il punto: il disagio provoca dipendenza. Ignorarlo rende schiavi, ma decantarlo lo radica. Nella psicologia buddista, ognuno ha dentro di se i semi del benessere e quelli del malessere. Come accade con le piante, quelle che vengono più frequentemente concimate crescono più rigogliose e forti.

Il disagio provoca dipendenza. Ignorarlo rende schiavi, ma decantarlo lo radica.

La lamentela è il concime delle emozioni negative: le amplifica e le trasforma in abitudini. Purtroppo, non solo il nostro cervello sviluppa dipendenza dalla consuetudine a stare male (che, di fatto, è un sistema di reti neurali in cui ogni ripetizione consolida specifici collegamenti sinaptici), ma alimenta quello che Eckhart Tolle, uno dei maestri contemporanei di consapevolezza, chiama il nostro corpo di dolore. «È una forma di energia semi-autonoma che vive nella maggior parte degli esseri umani, un'entità che si nutre di emozioni negative», spiega nel suo best seller Un nuovo mondo (Oscar Mondadori). «Può essere uno shock comprendere che c'è qualcosa in voi che ha bisogno di stare male e cerca l'infelicità. Ma, di fatto, il corpo di dolore ha fame di emozioni negative e le cerca per sopravvivere».

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Vi siete mai chiesti come mai, quando i media trasmettono una notizia tremenda (una madre che ammazza il figlio, i figli che ammazzano i genitori…) l'audience si alza? Siccome l'audience si alza, le emittenti televisive dedicano nuovo spazio alla stessa tematica ed ecco che una catena di 'approfondimenti' si inanella sul dramma centrale, fornendo cibo fresco e caldo al corpo di dolore collettivo. Come insegna la legge dell'interdipendenza – principio portante della mindfulness - non esiste una separazione tra individuale e collettivo, quindi il dolore individuale e quello della massa non sono mai separati: dove c'è l'uno, si nutre l'altro.

IL TUO PARASSITA PSICHICO

Per il principio dell'interdipendenza, il circolo vizioso che s'instaura nei contesti in cui lamentele e narrazioni di problemi diventano dominanti fa si che nella mente individuale inizino a prosperare dei 'parassiti psichici', cioè emozioni negative talmente ben nutrite da prendere il comando sul pensiero e invaderlo da dentro. Accade così che, nel sottofondo della tua mente, inizi a sentire una vocina che parla di cose tristi, di un futuro senza speranze, di minacciosi scenari di solitudine e/o di ricordi che portano a galla ansia, rabbia o rancore. Questa voce si lamenta, ti dice che sei una vittima (o che hai fallito clamorosamente), e poi incolpa, accusa e inscena drammi.

«Quando sei totalmente identificata con lei, inizi a credere ai suoi pensieri distorti», dice Tolle, «a quel punto, la dipendenza dall'infelicità è ormai in atto».

Se hai vicino a te delle persone care, il tuo corpo di dolore saprà come schiacciare i bottoni giusti per garantirsi con loro uno scontro, un'incomprensione o un dramma. «I corpi di dolore», continua Tolle, «amano le relazioni intime e le famiglie perché è li che prendono la maggior parte del loro cibo… Ci sono coppie che pensano di essere molto innamorate ma in verità i partner si sentono attratti perché i loro corpi di dolore sono complementari».

COME LIBERARSI DALLA DIPENDENZA

Il primo passo verso la liberazione avviene quando ti rendi conto di avere un corpo di dolore che reagisce al tuo posto. È poi fondamentale applicare l'arte della consapevolezza non giudicante a ciò che senti, soprattutto quando provi emozioni negative che ti spingono ad accusare, criticare e/o lamentarti. In questo modo, oltre a riconoscere il corpo di dolore quando chiede di essere nutrito, puoi rapidamente imparare quali sono i fattori che lo risvegliano.

Puoi smascherarlo e vedere quali emozioni negative porta con sé. «Quando riesci a fare questo», dice Tolle, «il corpo di dolore non può più fingere di essere te né potrà più vivere attingendo da te forza e nutrimento». La mindfulness, quindi, interrompe quell'identificazione che cementa la dipendenza dal malcontento. Ci vuole tempo e pratica. Ma, con fiducia e pazienza, l'addestramento alla consapevolezza non giudicante allenta il legame col corpo di dolore rendendolo sempre più debole. In termini neuroplastici, la rete di collegamenti sinaptici che ti porta a re-agire sviluppando malcontento viene smantellata e sostituita da un nuovo 'pacchetto' di collegamenti con emozioni positive stabili. In termini energetici, invece, le riserve di cui la dipendenza si nutriva vanno ad alimentare una nuova libertà. Quella di essere sereni, in barba a tutto.

EGO ERGO SUM

Quanto tempo ci vuole per liberarsi dalla mal-dipendenza? Forse pensi che il tempo necessario dipenda dall'entità del tuo corpo di dolore: se è particolarmente denso e forte (per esempio perché la tua famiglia l'ha nutrito abbondantemente durante l'infanzia o l'adolescenza) per te sarà un processo più difficile e lungo. Ma non è così. Tolle spiega molto bene che non è tanto il corpo di dolore quanto l'identificazione con esso a causare sofferenza. Quindi dovresti cambiare domanda e chiederti: quanto mi identifico col mio malcontento? Dipende da quanto è grande il tuo ego. Siamo abituati a pensare che un grande ego dimori nelle persone più potenti e sicure di se stesse, invece si misura nel grado di attaccamento ai propri pensieri e alle proprie emozioni.

L'ego è un grumo di attaccamento cristallizzato. Niente di più.

Per questo moltissime persone che si lamentano continuamente della propria vita, del proprio lavoro, del proprio partner, nonostante i consigli ricevuti e i buoni propositi ripetutamente formulati non riescono a cambiare. In loro, la volontà di stare meglio è meno forte della paura di perdere se stessi. Ma solo se rinunci all'attaccamento l'ego si riduce. E, con esso, il malessere che lo alimenta.

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COMINCIA ORA

Il mio consiglio è di esercitarti nell'osservazione consapevole del corpo di dolore ogni volta che si manifesta. Osservalo, registra le emozioni che lo richiamano e quelle che lui stesso produce. Prendi nota dei pensieri ricorrenti che ingenera. Ogni volta che lo farai, gli toglierai potere. E diventerai più forte. Più serena, più libera. Quando cominciare? Come dicono tutti i grandi maestri di consapevolezza - da Tolle a Thich Nhat Hanh al Dalai Lama -

per cambiare c'è sempre il momento giusto. E quel momento giusto è adesso.

Ti lascio con questo pensiero. E spero che tu possa farne tesoro.

Con Amore,

Grazia

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Grazia Pallagrosi

Grazia Pallagrosi, giornalista e insegnante di Mindfulness, vive tra l'Italia e la Thailandia, dove conduce ritiri di meditazione e riequilibrio psicofisico.