Sono a Torino all'inaugurazione di una fiera di arte contemporanea: è novembre, sera, sono vestita in modo che si potrebbe definire provocante e devo prendere un treno per tornare a Milano. Un treno regionale, data l'ora: uno di quei treni verdi e vecchi che si fermano a ogni stazione. "Stai attenta, mi raccomando", dice un mio amico prima di salutarmi. Come se ce ne fosse bisogno. La prima cosa che faccio, ancora protetta dai confini della fiera, è infilarmi i jeans sotto la gonna, cambiarmi le scarpe: con queste potrei correre meglio. A Porta Nuova, poi, dove mi accompagna un altro amico - maschio - entro nel bagno del McDonald's e mi cambio la parte sopra con una maglietta e un maglione.

Tutta la strada che va dal binario della stazione di Torino alla porta di casa mia a Milano è proprietà degli uomini, e io sono un'estranea, una visitatrice del loro territorio. È, in fondo, come mettersi un velo per visitare un Paese arabo, per rispettare i suoi usi. La strada qui è degli uomini, e io mi devo mettere un costume - nel bagno di un McDonald's - per adeguarmi a un codice morale e comportamentale che stabilisce cosa è consono. Ciò che non è consono costituisce una provocazione. Una provocazione giustifica un'aggressione.

Il mio senso dell'ingiustizia è nato qui, in strada. È molto semplice per un uomo sovrastarmi fisicamente, e quindi io sono in pericolo. Si tratta di forza fisica, a questo punto, di biologia, uno degli argomenti più battuti da maschilisti e maschiliste di ogni tempo. La subordinazione della donna come risultato naturale della differente anatomia dei generi.

Ma che la superiorità fisica renda la violenza naturale è un'idea assurda e infondata; il senso di minaccia che le donne subiscono non è ineluttabile. La violenza sulle donne non ha niente di primitivo. È legata, al contrario, alla nascita della società, agli albori della cultura, alle istituzioni della vita pubblica, la polis greca da cui la donna è stata programmaticamente esclusa, per gli stessi motivi per cui da sempre si escludono i gruppi, per la concentrazione del potere in mano a pochi, perché in mano a pochi il potere è più facilmente gestibile, e le persone più facilmente controllabili.

Si parla di potere, non di natura. Basterebbe osservare che, se è vero che pressoché tutti gli stupratori sono uomini, questi sono una piccolissima minoranza del totale. A essere diffusa invece - fra uomini e donne - è la cultura dello stupro, che è appunto fatto culturale e sovrastrutturale, una definizione con cui si indica la tendenza a giustificare l'abuso di potere del forte (perché sobrio, perché in alto nella gerarchia sociale, perché maschio) sul debole (che è "promiscua", "ambigua", "le è convenuto", "se la va a cercare", e comunque, sempre "avrebbe potuto evitarlo").

Non avevo mai conosciuto la sensazione di attraversare una città senza guardarmi le spalle, senza saltare alla prima ombra o al primo rumore

Nel 2006 sono andata a studiare in quello che era ai tempi l'unico dipartimento di gender studies in Europa, in Finlandia. Vivevo in una casa con altri studenti, in uno dei quartieri più "malfamati" di Helsinki, si chiama Kannelmäki. Nonostante il nome suggestivo - la collina dei flauti - Kannelmäki è un agglomerato di casermoni riuniti intorno a una stazione di due binari e una panchina, in mezzo al bosco che dal sud della Finlandia arriva ininterrotto fino alla Lapponia. Per andare in centro prendevo il treno e arrivavo alla stazione centrale, un'altra zona "poco raccomandabile", da cui spesso riprendevo il treno per tornare a casa in piena notte. Eppure, non avevo mai conosciuto la sensazione di muovermi in una città senza guardarmi le spalle. Senza saltare al primo rumore, ombra, scontro accidentale tra passanti. Senza avere paura. È una sensazione che la maggior parte delle donne italiane non conosce, e non la conoscevo neanch'io: ogni tanto devo tornarci per ricordarmi com'è. Come si rilassano le spalle, appena atterri in Finlandia, come gli sguardi dei passanti ti attraversano senza minacciarti, senza soffermarsi per quella frazione di secondo in più che a volte ci costringe a distogliere lo sguardo e fissarlo a terra. Sguardo basso mentre attraversiamo le strade degli uomini.

In Scandinavia, come nei Paesi germanici, la sessualità raramente esce dalla camera da letto, o comunque dalla sfera più privata delle persone. Ammiccamenti, sguardi, avance, non sono contemplati per le strade, nei luoghi di lavoro, in nessun posto in cui le persone non si conoscono e si potrebbero sentire a disagio. Questi sono i Paesi dell'assertività, dove ogni singola mossa viene preceduta da un implicito "posso?": quel consenso che oggi anche altrove stiamo iniziando a dibattere.

Si arriverà a non poter fare un complimento a una bella ragazza? Questo è il timore più diffuso ultimamente

Queste norme sociali lì hanno lo stesso senso di naturalezza di quelle che diamo per scontato qui: è un'altra "natura", un tentativo diverso di distribuzione e gestione del potere, che fa apparire il nostro meno inevitabile, meno naturale. Certo, ha ragione chi vede messo in pericolo, in questo processo, il modo tutto mediterraneo di flirtare. "Ma come, si arriverà a non poter fare un complimento a una bella ragazza?", questa è una paura che ho sentito spesso ultimamente. Dove andremo a finire. Io, che l'ho provato, vorrei poter dire che la direzione è unica e indicata chiaramente davanti a noi, ma quello che - soprattutto oggi - ammetto con difficoltà, e che tuttavia per onestà intellettuale devo ammettere, è che a me mancava quella sottile componente erotica che sembra qui attraversare la società in ogni sua manifestazione, in ogni relazione umana.

Il barista che ti fa il cuore sulla schiuma del cappuccino, e "Come siamo belle oggi", dice (a tutte? A molte. A chi vuole). Uno sguardo da parte di un uomo che sta andando al lavoro sulla tua stessa metropolitana, ma scende una fermata prima. Uno sguardo senza conseguenze, o meglio con un solo scopo, ben preciso ma non concreto, di dire "ti vedo", cioè "non farò nessuna azione a riguardo e questo mio vederti finirà qui, proprio ora mentre scendo dal vagone. Ma ti ho visto. Ci sei, ci siamo". Per non perdere il buono che c'è in questa relazione più fluida con un erotismo che pervade molti ambiti delle relazioni umane, dovremo imparare a essere più ricettivi e più aperti all'altro: ai suoi sì ma soprattutto ai suoi no. Per rimanere "noi stessi" abbiamo bisogno di un'educazione emotiva e sessuale diversa da quella - fallimentare, visti i dati sulla violenza di genere - che abbiamo ricevuto finora e che continuiamo a impartire ai nostri giovani. Perché c'è un ampio ventaglio di soluzioni tra essere invisibile e sentirsi minacciata. E non è detto che l'equilibrio migliore debba escludere la nostra idea di seduzione, quel filo sottile di sensualità che arricchisce il rapporto tra i generi anche al di fuori della camera da letto.