Da qualche tempo a questa parte quando vengono alla ribalta alcune notizie che riguardano azioni deplorevoli in men che non si dica salta fuori anche un qualche nome anglofono per identificarle, termine che non avevamo mai sentito prima ma che al tempo stesso ha decisamente molto appeal. A questo punto gli ingredienti sono tutti al posto giusto e il caso, anche grazie ai media che talvolta sono alla ricerca di indignazione facile e morbosità, può esplodere.

Tutti ne parlano, per giorni e soprattutto sui social, ma dietro questo atteggiamento, che crea fazioni e scontri verbali così accesi da lasciare le tastiere dei pc agonizzanti, c'è un rischio: se da un lato si può ingigantire oltremodo la faccenda dall'altro la si può anche banalizzare, per poi ritrovarsi a distanza di tempo ad avere a che fare con lo stesso fenomeno, soltanto con un nome differente.

Ci riferiamo in particolare al caso della giovane Sophie Stevenson, che quest'estate in vacanza in Spagna ha conosciuto Jesse Mateman. I due (così come la storia viene riportata) passano la notte insieme e a distanza di qualche mese Sophie decide di prendere un aereo per rivedere il ragazzo nella sua città, Amsterdam, spendendo anche una grossa cifra per il viaggio. Purtroppo, una volta arrivata nella capitale olandese, le arriva addosso una doccia gelata: non solo Jesse non si è fatto vedere in aeroporto e non ha risposto alle sue telefonate, le ha anche inviato un messaggio.

You were pigged, it was a joke

Era tutto uno scherzo quindi: Sophie sarebbe soltanto stata vittima di un crudele gioco chiamato pull a pig, una specie di gara tra amici (maschi) in cui vince chi riesce a portarsi a letto la ragazza più brutta o quella più grassa.

Se questo scherzo, anche se definirlo tale è riduttivo, è stato in qualche modo divertente sicuramente lo è stato solo all'inizio, perché Jesse a distanza di qualche giorno dalla diffusione della storia ha raccontato di aver ricevuto numerose minacce, ha detto di non conoscere questo gioco e ha anche ingaggiato un avvocato per difendersi. Nel suo comunicato il legale ha spiegato che Mateman da quella notte non ha più avuto contatti con la ragazza, per cui in parole povere non è stato niente di serio, che il messaggio che è stato reso noto ai media non è stato inviato dal suo assistito, e che soprattutto in quelle poche parole non c'è nessun riferimento a nessun gioco, men che meno al pull a pig.

Non sappiamo come andrà a finire la vicenda, ma una cosa è certa: il pull a pig esiste e ha numerose varianti (come ad esempio il fat girl rodeo, di cui parlava già l'Independent nel 2013). Sono tutti fenomeni che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che continuano a ripresentarsi perché riescono a cambiare sempre volto e nome. Ma hanno un punto in comune: a dar loro forza, come sempre, sono il sessismo e il maschilismo più becero, così profondamente ancorati alla nostra cultura.

Chi trova divertimento da queste umiliazioni pubbliche, dai giovani studenti agli affermati professionisti, non si rende mai conto di quello che sta facendo, della portata delle sue azioni e delle loro conseguenze. Inoltre, cosa ancora più orribile, il corteggiamento e il sesso vengono usati come un'arma per offendere un'altra persona, che evidentemente ai loro occhi appare solo come un oggetto, senza emozioni e sentimenti, che non merita considerazione. Quando in realtà sono tutte mortificazioni che possono minare profondamente l'autostima e che lasciano un segno profondo in chi ne cade vittima.

Proprio per questo è necessario non tacere e trovare la forza per parlarne, cercando anche di abbandonare quel senso di vergogna per esserci cascata. L'importante però è che l'argomento venga trattato con le parole giuste, senza etichettare questi atti di bullismo (perché di questo si tratta) solo come nuove mode del web o giochi, espressioni sensazionalistiche che rischiano di farceli percepire come qualcosa di finto o che non ci riguarda, quando in realtà sono (o sono stati), in ogni loro forma, ben presenti nella vita di molte di noi.